Cade la prima delle cinque cause intentate contro l’ex presidente brasiliano Luiz Inacio Lula da Silva relative allo scandalo Lava Jato – Mani pulite – e alle accuse di corruzione per le commesse della compagnia petrolifera pubblica Petrobras. Lula non ha ostacolato le indagini, la pubblica accusa chiede il proscioglimento per insufficienza di prove.

La procura federale ha infatti riconosciuto venerdì scorso che il principale teste d’accusa, l’ex senatore Delcidio Amaral – che nel frattempo ha patteggiato la sua pena – ha mentito su Lula. L’ex senatore Delcidio Amaral aveva accusato Lula di aver raggiunto un accordo con l’imprenditore Andre Esteves per comprare il silenzio dell’ ex direttore del colosso petrolifero Petrobras Nestor Cervero a proposito delle presunte «mazzette» per cui l’ex presidente è accusato.

Come nel domino, la tessera di Amaral fa cadere anche quella di Esteves, a capo della banca d’investimento Btg Pactual, altro grande accusatore di Lula, le cui tesi ora la stessa pubblica accusa chiede che non vengano più tenute in considerazione.

Lula, reduce ad agosto da un trionfante tour in 25 città che ha lanciato la sua possibile ricandidatura a presidente per le elezioni dell’anno prossimo, deve ancora vedersela con l’ostacolo più grosso sul suo nuovo cammino politico: la condanna, comminatagli lo scorso 12 luglio dal giudice Sergio Moro a nove anni e sei mesi di prigione per corruzione passiva e riciclaggio.

Cioè per aver accettato – così recita la sentenza che il Pt, il Partido dos Trabalhadores fondato dallo stesso Lula negli anni ’80, considera solo «persecuzione politica» – una tangente del valore di 3, 7 milioni di real (1 milione di euro) dall’azienda Oas sotto forma di lavori di ristrutturazione di un appartamento situato nella località balneare di Guaruja come ringraziamento per il suo intervento in favore dell’assegnazione di appalticon Petrobras.

Lula, che ha presentato appello, dovrà presentarsi di nuovo davanti al giudice Moro il prossimo 13 settembre.