Si fa sempre più tesa la situazione in Brasile, per gli scontri di piazza e per quelli tra politica e magistratura. Un giudice federale di prima istanza ha dettato una misura cautelare nei confronti di Lula da Silva, nominato capo di gabinetto del governo di Dilma Rousseff.

Tuttavia, tocca ora a una istanza giuridica superiore,l a Corte Suprema, decidere se la misura può essere resa esecutiva o respinta. Il Tribunal Federal si incaricherà di esaminare ogni procedimento giudiziario. Il governo ha presentato ricorso contro il provvedimento del giudice Catta Preta, del Tribunale federale di Brasilia. Per il magistrato, Lula sta tentando di sfuggire alle sue responsabilità giuridiche, come accusato nel mega scandalo per tangenti detto Lava Jato. L’ex presidente, che aveva annunciato di volersi candidare alle presidenziali del 2018, è indagato per corruzione, riciclaggio e occultamento di patrimonio: per aver acquistato – secondo i giudici – un appartamento di lusso a nome di una impresa amica. L’ex sindacalista ha sempre respinto le accuse, denunciando l’uso politico delle inchieste giudiziarie da parte delle destre, decise a farla finita con il governo e con il Partito dei lavoratori (Pt). Dopo aver annunciato l’intenzione di candidarsi, ha presentato una memoria difensiva alla procura di San Paolo e si è messo a disposizione della magistratura.

Nel corso delle indagini, il 4 marzo, Lula è stato prelevato a forza dal suo appartamento e condotto per tre ore in caserma per essere interrogato. In seguito la procura ha persino chiesto il suo arresto preventivo, adducendo il pericolo di fuga. I fatti avevano provocato grandi proteste e scontri tra i sostenitori del Pt e le destre, che domenica hanno organizzato gigantesche manifestazioni in 400 città del paese e che ieri sono tornate in piazza per chiedere la fine del governo provocando altri scontri.

Ieri, Sergio Moro, il giudice incaricato del caso Lava Jato, che le sinistre accusano di presenzialismo e uso dei media a fini politici, ha diffuso l’intercettazione telefonica di una conversazione intercorsa, via cellulare, tra la presidente e Lula, nella quale Rousseff anticipava al suo precedecessore il nuovo incarico che intendeva dargli. Un incarico che, nei giorni precedenti, era stato sollecitato da numerosi intellettuali, scesi in campo per difendere Lula.

Nel corso della «tangentopoli» brasiliana, la presidente era intervenuta più volte per chiedere discrezione su alcuni punti delicati dell’equilibrio istituzionale: soprattutto sull’uso mediatico delle intercettazioni telefoniche e della recente legislazione premiale. E ieri un comunicato della Presidenza ha affermato che il fatto lede i diritti e le garanzie dello Stato, giacché la costituzione impedisce di intercettare la presidente e ancor più di diffondere il contenuto delle conversazioni carpite. E ha annunciato che verranno adottate misure giudiziarie per porre riparo alla violazione.

Nell’audio, datato 16 marzo, si sente Rousseff informare Lula dell’invio di un documento che formalizza il suo incarico di governo. La diffusione, però, lascia intendere una complicità più obliqua fra i due in merito all’inchiesta di cui è oggetto Lula. Rousseff ha spiegato che la sua unica intenzione era comunicare l’esistenza del documento in caso Lula non avesse potuto assistere alla cerimonia d’incarico, per via di un problema di salute di cui soffre sua moglie. «Avrei voluto riposarmi prima delle elezioni del 2018, ma accetto l’incarico», aveva commentato Lula con i giornalisti dopo aver ricevuto la proposta.

Dilma ha denunciato che la divulgazione delle intercettazioni non è altro che un tentativo di destabilizzare la società brasiliana con metodi oscuri «che violano i principi e le garanzie costituzionali, i diritti dei cittadini e che apre precedenti gravissimi. I golpe – ha detto – cominciano così». Poi la presidente ha ripetuto gli appelli al dialogo politico fra quanti hanno a cuore il bene del paese per superare l’odio, e ha ribadito che non intende dimettersi.

Intanto, il Supremo Tribunal Federal (tsf) ha dato il via libera alla formazione della commissione parlamentare che dovrà decidere se avviare una procedura di impeachmet contro la presidente o respingerla. La situazione che si è creata ieri, però, difficilmente consentirà di ampliare alleanze favorevoli a respingere, con una maggioranza dei 2/3 la procedura. In caso di esito sfavorevole alla presidente, toccherà poi al Senato decidere se processare Rousseff, sospendendola preventivamente dall’incarico per sei mesi perché abbia la possibilità di presentare prove a sua discolpa.

Da quando è esplosa la tangentopoli brasiliana, l’opposizione cerca di coinvolgere la presidente nella corruzione dell’impresa petrolifera di Stato, benché una precedente commissione parlamentare abbia assolto da ogni addebito sia Lula che Dilma. Ora l’accusa per la presidente è di aver usufruito dei proventi delle tangenti per la sua campagna elettorale. Una pratica che, data la pervasività del sistema di corruzione che ha permeato i principali partiti di tutti i colori, dovrebbe portare in tribunale anche i principali leader dei partiti avversari: a cominciare da Aecio Neves, membro del potente e ultracorrotto Partito della Socialdemocrazia Brasiliana (Psdb).
Un esempio emblematico è Eduardo Cunha, presidente della Camera dei deputati e principale accusatore di Dilma Rousseff. In questi anni, è sempre riuscito a schivare le gravi accuse di corruzione contro di lui, le ultime quelle di testimoni che lo hanno chiamato in causa per aver portato all’estero fondi neri e contro di lui è aperto un procedimento giudiziario che, questa volta, potrebbe cancellarlo dalla scena politica e persino farlo finire in carcere.

Ieri, mentre le destre manifestavano per chiedere la fine del governo e del Pt, anche le sinistre si sono mobilitate. A livello internazionale, la Unasur ha espresso il suo sostegno al governo e a Lula. Il presidente venezuelano, Nicolas Maduro, che le destre vorrebbero portare a dimettersi e per questo stanno organizzando una raccolta di firme, ha denunciato i tentativi di «golpe mediatico e giudiziario» e ha invitato i movimenti sociali a mobilitarsi