Non era mai accaduto nella storia del Brasile che decine di migliaia di militanti accompagnassero la registrazione di un candidato alla presidenza del Paese. E così l’iscrizione formale della candidatura di Lula presso il Tribunale Supremo elettorale – la foto del certificato è stata postata sulle reti sociali alle 17.21 del 15 agosto – si è trasformata in un grande atto di sovranità popolare, con la partecipazione di un gran numero di leader sociali, artisti, giuristi ed esponenti politici.

«Un atto di obbedienza alla volontà del popolo e alla Costituzione federale», secondo le parole del portavoce Fernando Haddad, il quale ha effettuato la registrazione insieme alla presidente del Pt Gleisi Hoffmann, all’ex-presidente Dilma Rousseff e alla deputata del Partido comunista do Brasil Manuela D’Avila (che assumerà la candidatura alla vicepresidenza una volta definita la posizione di Lula).

La campagna elettorale ha quindi avuto ufficialmente inizio ma è assai improbabile che per Lula possa concludersi felicemente. Quanto il suo cammino verso la presidenza si riveli proibitivo, lo dimostra bene l’estrema rapidità con cui, lo stesso 15 agosto, la sua candidatura è stata impugnata dalla procuratrice generale della Repubblica Raquel Dodge, da sempre in prima fila nella persecuzione giudiziaria contro l’ex presidente. Una rapidità su cui Glesi Hoffmann non ha mancato di ironizzare: «Se per fermare Lula avesse dovuto correre i 100 metri, Raquel Dodge avrebbe frantumato il record di Usain Bolt».

E un altro pessimo segnale è dato dal fatto che l’incarico di analizzare il caso della candidatura di Lula sia stato assegnato – in uno di quei sorteggi da cui salta fuori sempre un nome ostile all’ex presidente – al ministro Luis Roberto Barroso. Il quale non solo è noto come sostenitore entusiasta della legge Ficha Limpa (che proibisce ai condannati in secondo grado di presentarsi alle elezioni) ma è anche considerato dal Pt il giudice più vicino alla Rede Globo.

Ed è proprio il timore che Barroso acceleri i tempi del giudizio ad aver indotto il Partito dei lavoratori a contestare l’assegnazione, chiedendo che ad occuparsi del caso sia il ministro Admar Gonzaga, già incaricato di esaminare le richieste di impugnazione presentate contro Lula da Kim Kataguiri, leader del gruppo di estrema destra Movimento Brasil libre, e dall’attore Alexandre Frota, del Partido social liberal.

Le difficoltà, tuttavia, non sembrano scoraggiare l’ex presidente, il quale si è detto determinato a portare avanti la propria candidatura fino alle fine, precisando di non chiedere favori, ma solo di rivendicare «i diritti riconosciuti da anni dai tribunali a centinaia di altri candidati». E cioè il diritto di ottenere la sospensione dell’ineleggibilità finché non siano esauriti tutti i ricorsi presso le istanze superiori e di poter godere nel frattempo di tutte le prerogative garantite agli altri candidati presidenziali, a cominciare dalla possibilità di prendere parte ai dibattitti televisi. «Finché resterò in prigione – ha dichiarato – ciascuno di voi sarà le mie gambe e la mia voce. Rilanceremo la speranza, la sovranità e l’allegria di questo nostro grande Paese».

Anche nel caso in cui Lula non potesse candidarsi, le destre non avrebbero comunque motivo di esultare: secondo il sociologo Marcos Coimbra dell’istituto di sondaggi Vox populi, basterebbero non più di sei ore per garantire il trasferimento delle intenzioni di voto dall’ex presidente al suo portavoce Fernando Haddad. Il quale non avrebbe così alcun problema ad arrivare al ballottaggio.