Adesso è ufficiale: Lula potrà candidarsi alle presidenziali del 2022, a cui il paese già guarda con ansia per liberarsi dall’incubo Bolsonaro. A deciderlo è stato, giovedì sera, il Supremo tribunale federale che, in sessione plenaria, ha confermato, con 8 voti contro 3, la decisione con cui il giudice Edson Fachin aveva annullato tutte le condanne per corruzione contro l’ex presidente emesse da Sérgio Moro e dalla sua sostituta Gabriela Hardt nel quadro dell’operazione Lava Jato, non riconoscendo loro la competenza per giudicare i casi in cui Lula era coinvolto.

I TIMORI, ALLA VIGILIA, erano tanti. Perché un conto è lanciare un’offensiva contro un presidente scaricato quasi da tutti, isolato a livello internazionale e persino accusato di genocidio, un altro è consentire a Lula di provare a riconquistare la presidenza con il rischio, concretissimo, di mettere fuori gioco altri possibili candidati con genuine credenziali neoliberiste e accettabili agli occhi del mondo.
I sondaggi, del resto, parlano chiaro: secondo l’ultimo rilevamento dell’Instituto PoderData, in un eventuale ballottaggio tra Lula e Bolsonaro, il leader del Partito dei lavoratori vincerebbe con 18 punti di scarto, 52% contro 34%.

Né esistono dubbi sulla disponibilità dell’ex presidente a tentare la nuova avventura elettorale: «Se fosse necessario – ha detto, e a sinistra ben pochi in Brasile pensano che non lo sia – mi candiderò per vincere le elezioni contro un fascista chiamato Jair Bolsonaro, un genocida, il maggior responsabile del caos della pandemia». E benché abbia evidenziato anche la possibilità di «scegliere qualcun altro che possa rappresentare i settori progressisti del Brasile», c’è da scommettere che si senta già pronto per l’impresa, cominciando dal compito di unire le forze con gli altri partiti, di sinistra, di centro e di destra moderata – praticamente la stessa coalizione che ha sostenuto i suoi governi – interessati a liberarsi dall’attuale presidente.

Ma per quanto sia improbabile che le destre abbiano deposto le armi contro Lula – la ricerca di un candidato da opporre tanto a lui quanto a Bolsonaro proseguirà incessante -, è evidente che sbarazzarsi di lui non è al momento considerata una priorità, come indica assai bene il voto della Corte suprema. Tant’è che persino la rivista anti-petista per eccellenza, Veja, è riuscita, per la prima volta dopo chissà quanti anni, a metterlo in copertina senza intenti denigratori.

IN OGNI CASO, LA DECISIONE del Stf è destinata ad allarmare ancor di più un Bolsonaro alle prese con il momento peggiore della sua presidenza, e già messo alle corde dall’apertura della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla condotta del suo governo nella gestione della pandemia. Quella “Cpi del genocidio” di cui sono stati già nominati i vertici: un esponente del Centrão, Omar Aziz, come presidente, un acerrimo nemico di Bolsonaro come Randolfe Rodrigues in qualità di vice, e Renan Calheiros, un altro senatore del Centrão ma assai critico con il presidente, come relatore.