Si fa sempre di duro e incerto lo scontro che prosegue ormai da due settimane tra il variegato movimento democratico bielorusso e il presidente Alexander Lukashenko, al potere ormai da 26 anni. Nelle ultime settimane sono stati arrestati tutti i principali candidati di opposizione alle presidenziali che dovrebbero tenersi nel paese slavo il 9 agosto.

L’ULTIMO A FINIRE in manette, giovedì sera, Victor Babariko, banchiere con ottime entrature a Mosca via Gazprom e Rosneft con cui aveva spesso fatto affari. È lui quello su cui buona parte del popolo bielorusso, ma sottotraccia anche il Cremlino, punta per una transizione indolore dal sistema corrotto e autocratico di Lukashenko a una democrazia che non rompa gli storici rapporti di alleanza militare e interscambio commerciale con Mosca.

La reazione popolare all’arresto è stata ampia, determinata, coesa sin dalla scorsa notte quando – come riferisce il sito Charter ’97 . ha occupato le piazze di Minsk fino a tarda notte al grido di «via la scarafaggio!».

Lukashenko ha giustificato così l’ennesimo arresto: «Babariko si trova alla testa di un piano su larga scala per destabilizzare la Bielorussia con la partecipazione di burattinai stranieri». Per impedire quella che secondo lui «sarebbe una nuova Maidan»,

Lukashenko si è dichiarato disponibile a «qualsiasi sacrificio», compresa l’eliminazione di migliaia di persone come ha lugubremente affermato la scorsa settimana in parlamento. L’evocazione però dei burattinai in questo caso non è tanto rivolta verso i “sorosiani” ma verso gli «oligarchi dei grandi gruppi moscoviti».

Gazprom, a tal proposito ha emesso un secco comunicato con cui sostiene apertamente Babariko e dichiara che «difenderà i suoi interessi in Bielororussia». Subito dopo il lider maximo di Minsk ha alzato la cornetta e ha avuto una lunga chiacchierata con Putin.

AL TERMINE, IN MODO irrituale, Lukashenko ha svelato i presunti contenuti della telefonata. Ha promesso a Putin che sarà sulla Piazza rossa il 24 giugno per la parata militare dell’anniversario della fine della seconda guerra mondiale e ha chiesto in cambio una tregua: «Voi avete problemi politici con l’adozione di emendamenti alla Costituzione e noi con un’elezione presidenziale. Ma come paesi fratelli dobbiamo andare avanti parallelamente», avrebbe detto al capo del Cremlino. Una mano tesa però che è parsa più una richiesta di non mettere il piedi nel piatto bielorusso che un appello all’unità del mondo slavo.

La strada è però stretta come ha segnalato Sergey Lavrov, il ministro degli esteri russo. Con Babariko infatti Mosca ha in mano una carta per gestire la fuoriuscita dalla palude in cui Lukashenko ha cacciato il paese che eviti al contempo l’eventualità di qualcosa di simile al teatro ucraino del 2014 quando Putin, restando legata fino alla fine a Viktor Yanukovic, si suicidò politicamente lasciando campo aperto alla reazione neofascista e alla penetrazione della Nato.

Così il Cremlino ha risposto in serata a muso duro a Lukashenko. Dmitry Peskov, portavoce personale di Putin, lo ha attaccato: «Le grandi società russe, tra cui Gazprom, sono sotto la protezione dello stato e le accuse a loro carico dovrebbero essere supportato da prove».

E MENTRE ANDIAMO in stampa, giungono le prime notizie dalle piazze bielorusse. A Minsk tutta la città è in strada per protestare. Ma è in subbuglio anche la provincia_ giungono notizie di grandi mobilitazioni a Brest e a Gomel, (y.c)