Una delle conseguenze più devastanti della mercificazione, privatizzazione e finanziarizzazione (Mpf) dei beni e servizi essenziali e insostituibili per la vita – e, per questo,considerati intrinsecamente comuni e pubblici – è stata la decostituzionalizzazione dei diritti umani sanciti nella quasi totalità delle Costituzioni del XX secolo. La Mpf ha spazzato via l’obbligo che gli Stati avevano assunto, costituzionalizzando i diritti, di creare le condizioni necessarie e indispensabili anche sul piano delle risorse finanziarie per garantire la loro effettiva concretizzazione tramite la disponibilità e l’accesso per tutti ai beni e servizi strumentali al soddisfacimento dei diritti. Questo ha comportato una presa di responsabilità diretta collettiva in materia dei beni e servizi, non solo da parte dei poteri pubblici rappresentativi ma anche da parte dei cittadini stessi, da qui la spinta in favore di una democrazia partecipata.

La deliberata graduale sparizione dell’obbligo è stata volutamente usata come «giustificazione» per ridurre la necessità dell’intervento della finanza pubblica a copertura degli investimenti necessari a garantire e promuovere i diritti. I poteri dominanti hanno imposto il principio che i costi di quelli che non erano più considerati dei diritti (universali) ma bisogni (vitali variabili, differenti) dovevano essere coperti da coloro che ne traevano un’utilità propria, specifica. Pertanto, tocca ai «consumatori» dei beni e dei servizi di coprirne i costi pagando un prezzo «giusto» ai costi del mercato (comprendente cioè un profitto «giusto»). Risultato: siamo passati da una società fondata sui diritti di tutti i cittadini, il cui costo è finanziato dalla collettività via la fiscalità generale e specifica, a un’economia fondata sui bisogni vitali variabili a secondo dell’utilità individuale e finanziati dai consumatori pagando un prezzo.

La sostituzione dei diritti dei cittadini e della fiscalità pubblica (due delle più grandi conquiste sociali del secolo scorso) con i bisogni dei consumatori ed i prezzi di mercato è stata possibile perché tutte le classi dirigenti al potere dagli inizi degli anni ’70 non hanno più creduto né credono oggi nel principio dell’uguaglianza di tutti gli esseri umani rispetto ai diritti (che sono, per l’appunto, universali, indivisibili e imprescrittibili). Credono invece nella falsa concezione della naturalità e, quindi, inevitabilità dell’ineguaglianza «strutturale» nelle sue tre forme principali di come gli uni ( soprattutto i dominanti) “vedono” gli altri: l’ineguaglianza di «stato» ( per quanto riguarda il genere, il colore della pelle, le credenze religiose, le classi, i popoli), l’ineguaglianza di «posizione» (le funzioni/il lavoro, i ruoli, i poteri…), l’ineguaglianza di «capacità» (secondo il reddito economico specie patrimoniale e quindi la divisione in ricchi e poveri, autoctoni e stranieri…).

La lotta per l’eliminazione delle ineguaglianze rispetto ai diritti è stata nel passato il motore delle principali rivolte, insurrezioni e rivoluzioni sociali e politiche, insieme alla lotta per le libertà collettive. L’uguaglianza è la condizione di esistenza della giustizia in seno alle comunità umane. Non v’è giustizia senza uguaglianza e non c’è «comunità» umana fondata sull’ineguaglianza dei diritti.

[do action=”citazione”]L’uguaglianza è la madre della capacità profetica degli esseri umani, cioè della capacità progettuale sociale e politica[/do]

L’uguaglianza è la madre della capacità profetica degli esseri umani, cioè della capacità progettuale sociale e politica. Ancora oggi è l’uguaglianza il soffio ispiratore che spinge intere comunità umane, popoli e migliaia di gruppi, movimenti e associazioni a essere in cammino alla ricerca di forme più giuste, più libere, più democratiche di vivere insieme e di relazioni più sostenibili tra gli esseri umani e la vita sul pianeta Terra.

È il principio di uguaglianza che dà forza alla volontà di dare un divenire creatore e liberatore alle centinaia di milioni di giovani senza occupazione nel mondo, e anche in seno all’Unione europea; di permettere a miliardi di «impoveriti» di reinventare la democrazia liberandola dalla sottomissione alle logiche di dominio e di guerra e ai poteri multinazionali finanziari , industriali e commerciali.
Cosi come nel passato l’uguaglianza ha permesso di cambiare il mondo nel senso della giustizia (questo è il senso della «potenza utopica»), così oggi l’uguaglianza è la potenza utopica dei popoli e dei cittadini. La potenza utopica dell’Europa è liquefatta in un mare di slogan e nell’oceano della pubblicità. Ma nessuno è mai riuscito a far morire la potenza utopica umana.

Il divenire dell’Europa non sarà fatto da coloro che predicano e praticano l’ineguaglianza e l’esclusione.

*Riccardo Petrella è candidato per l’Altra Europa con Tsipras nel collegio Nord Est