Un affronto alla comunità internazionale, oltre che un’offesa al buon senso e ai più elementari diritti dell’uomo. La legge «anti-omosessualità» varata ieri dal parlamento ugandese è anche un dispetto al primo ministro Amama Mbabazi, che ora si oppone in virtù del fatto che in aula al momento della votazione non ci sarebbe stato il numero legale.

Comunque la pensi nel merito, il capo del governo ugandese sa bene che la cosa avrà conseguenze rumorose sul piano internazionale, con possibili sospensioni di aiuti e altre ritorsioni. È la legge che Obama aveva definito «odiosa» già nel 2009, quando se ne iniziò a parlare. La legge che qualsiasi associazione del mondo lgbt ha buon gioco nell’indicare come il male assoluto. Al confronto Putin sembra un sincero democratico, perché qui vengono inasprite a dismisura norme che erano già ultraliberticide e aggressive nei confronti di gay e lesbiche: qui si parla di ergastolo in caso di recidiva e di carcere per chi non denuncia il vicino di casa gay.

È il «regalo di Natale» che la speaker del parlamento Rebecca Kadaga aveva promesso un anno fa agli ugandesi. E il motivo per cui la legge ha imboccato all’improvviso una corsia preferenziale. L’alternativa su cui il parlamento era chiamato a pronunciarsi era lasciare le cose come stanno, limitare cioè la pena a un massimo di 14 anni, ma l’emendamento per così dire “buonista” è stato respinto. Dal testo originario invece è sparita la pena di morte in caso di rapporti sessuali tra un sieropositivo e un minorenne. Ma restano le pene detentive per il reato di omessa denuncia, innescando una potenziale bomba relazionale nella società ugandese. La legge si applica anche per gli ugandesi all’estero, che in teoria possono essere estradati. E ovviamente per gli stranieri in Uganda. Né mancano sanzioni pesanti per le organizzazioni e i mezzi d’informazione che difendono i diritti dei gay o incoraggiano comportamenti “deviati”.

Il promotore David Bahati è un quarantenne deputato del National resistance movement (Nrm), il partito di governo. L’idea che gli ha procurato una sinistra fama mondiale risale all’ottobre 2009, quando sosteneva che 15 milioni di dollari erano stati investiti dalla lobby gay internazionale per reclutare bambini ugandesi nelle sue fila. Questa legge è la risposta. Bahati si è detto «felice che il parlamento abbia votato contro il male. Siamo una nazione timorata di Dio – ha aggiunto – e non ci interessa cosa pensa il resto del mondo».

«Da oggi sono ufficialmente un fuorilegge», ha detto per contro Frank Mugisha, uno degli attivisti più esposti per i diritti dei gay in Uganda. Ora spera nella reazione della comunità internazionale. La quale però ha appena chiesto all’Uganda, attraverso le Nazioni unite, di intervenire nel vicino Sud Sudan, in preda a violenze e convulsioni che sanno tanto di guerra civile. Essendo la cosa gradita anche al presidente sud-sudanese Salva Kiir, il primo aereo con le truppe ugandesi è atterrato ieri a Juba con il mandato di mettere in sicurezza la capitale del giovane stato.

Il presidente Yoweri Museveni, che non è un nuovo a simili “favori”, potrebbe ora non firmare la legge anti-gay. E a convincerlo in tal senso potrebbe essere lo stesso Obama, in virtù del saldo legame economico e militare che lega Kampala a Washington, incluso il sostegno operativo nella caccia finora senza esiti a Joseph Kony, il fondatore del Lord’s resistance army. Però la legge «2009» vanta anche sostenitori negli States, tra gli evangelici ultraortodossi. E cristiano-evangelighe sono le sette che stanno progressivamente prendendo in ostaggio, con una stretta moralistica senza precedenti, la società ugandese. L’omofobia, poi, era già una piaga endemica.

Nelle stesse ore il parlamento ugandese ha licenziato anche una legge «antipornografia» che criminalizza l’uso di minigonne e censura i videoclip musicali troppo osé.