L’Open Arms, la nave che in due anni e mezzo ha salvato 7 mila persone nel Mediterraneo è ferma nel porto di Barcellona, uno scalo tecnico nel suo viaggio che dalla Sicilia la porterà a Borriana, 300 km a sud, nella Comunità Valenziana, per riparazioni. L’ong ha indetto ieri un incontro coi giornalisti a bordo dell’imbarcazione per spiegare in cosa consiste la campagna di raccolta fondi che hanno lanciato un mese fa. «Abbiamo bisogno di almeno 800 mila euro per riparare questa nave o di due milioni e mezzo per comprarne una nuova», ha spiegato Martín Maretta, il responsabile macchine della nave spagnola. «Questa è un rimorchiatore di 47 anni, riadattato per salvare vite umane», ha spiegato. «Due anni e mezzo fa avevamo già fatto un investimento per dargli un’altra vita, e doveva durare un anno. Abbiamo tirato il più possibile, ma siamo alla fine della sua vita utile», ha detto.

Accanto a lui, il fondatore di Open Arms, Òscar Camps, e il capitano della nave, Miquel Melero. Insieme hanno spiegato che in Sicilia sarebbero stati pronti a ripartire per una nuova missione, ma l’ennesima ispezione delle autorità italiane li ha costretti a tornare indietro. «Che ci abbiano ordinato di tornare lo stesso giorno che sono morte 96 persone ci ha riempito il cuore di tristezza», ha ricordato Melero.

Òscar Camps, siete in contatto coi governi?
I contatti con i governi ci sono, ma riceviamo sempre più pressioni con ispezioni e blocchi in porto (ci è successo in 4 paesi). Il fatto che la nave sia così vecchia dà loro scuse per poterla fermare per qualsiasi piccola avaria. In Italia abbiamo subito un’ispezione di 12 ore, la seconda in un anno. Ci sono barche che non ricevono mai questo tipo di ispezioni. Dobbiamo essere il battello più pericoloso di tutto il Mediterraneo.

È cambiata l’aria con l’uscita di scena di Salvini?
Ora abbiamo di nuovo un contatto col ministero degli Interni, e ci siamo anche riuniti con le ministre Lamorgese e De Micheli. Ci sorprende però la decisione di rinnovare il memorandum con la Libia, che sappiamo essere uno dei fattori più pericolosi per la vita delle persone. Una botta al cerchio e una alla botte. Comunque abbiamo speranza che ci sia un cambiamento, anche se è ancora presto per dirlo.

Come va la campagna donazioni?
In un mese abbiamo raccolto 450mila euro. Cresciamo lentamente, con piccole donazioni, ma è quello che volevamo: molta gente con piccoli contributi, piuttosto che grandi donatori, che pure ci hanno contattato. Abbiamo bisogno dell’appoggio della gente, dobbiamo sentirci protetti dai cittadini. Siamo una risposta popolare alla violazione dei diritti umani in mezzo al mare.

E quale dovrebbe essere la risposta delle istituzioni?
Vogliamo che la Ue riprenda le operazioni di salvataggio nel Mediterraneo, come prescrivono le convenzioni internazionali. L’accordo di Malta è un primo passo. Ma dovrebbe ampliarsi, coinvolgere più paesi e coprire tutto il Mediterraneo. Le Ong soffrono le conseguenze della criminalizzazione, della diffamazione e della persecuzione amministrativa. Oggi non c’è più nessuna nave: Sea Watch e Alan Kurdi sono a Borriana, come noi, e Ocean Viking a Marsiglia. Tutte fermate, guarda caso. L’obiettivo è che non ci sia nessuno, così non ci sono salvataggi e il problema scompare. Intanto però le persone muoiono! Le mafie li buttano in mare, che ci siano le nostre navi o no. Ora come ora, ci sono 3 imbarcazioni alla deriva: né Italia, né Malta si stanno mobilitando. Siamo scomodi perché gettiamo la luce sul dramma che vogliono nascondere. Salviamo vite alla deriva: in acque internazionali nessuno è migrante, ci sono solo vite in pericolo. Ma la speranza è che prima o poi si imponga un altro discorso: indipendentemente dalla loro origine e del motivo per cui si buttano in mare, prima di tutto bisogna tirarli fuori dall’acqua e poi si vedrà a terra come gestirli.

Giovedì il Tribunale europeo dei diritti umani ha decretato che la Spagna non infrange i diritti umani dei migranti che rispedisce a casa appena superano la frontiera.
Non capisco come possa essere legale. Però se non c’è modo sicuro di chiedere asilo o rifugio, non ci sono altre possibilità che saltare un muro o darsi al crimine organizzato. Nel penultimo salvataggio che abbiamo fatto, abbiamo calcolato con loro quanto valeva il viaggio: 200mila euro. L’investimento di una vita per ciascuno di loro, uno spazio di 35 cm su un gommone, un biglietto per una morte quasi sicura.

Se i migranti non li protegge neppure Strasburgo, cosa resta?
Resta il popolo. Dipende dalla pressione dei cittadini. Più forte è l’appoggio, più difficile sarà per i governi metterci i bastoni fra le ruote.