«Dobbiamo essere preparati ad affrontare una stagione migratoria pesante». Da Bruxelles il commissario Ue per l’immigrazione Dimitris Avramopoulos prova a svegliare l’Europa su quanto sta accadendo in queste ore nel Mediterraneo. Le cifre degli ultimi sbarchi in Italia sono arrivate fino dentro l’aula dell’Europarlamento a ulteriore conferma di come i conflitti in corso sull’altra sponda del Mediterraneo, e in particolare l’aggravarsi della crisi libica, contribuiscano a un aumento costante dei flussi. La preoccupazione, adesso, è per quanto potrebbe accadere con l’avvicinarsi della bella stagione, quando le condizioni del tempo incoraggeranno sempre più le partenze, provocate anche dalle bande criminali che organizzano i viaggi. C’è sempre più bisogno di intervenire in mare per soccorrere i migranti, come confermano anche le notizie sull’ultimo naufragio che sarebbe costato al vita a 400 migranti, ma anche di provvedere alla loro sistemazione una volta sbarcati e soprattutto a una più equa distribuzione tra i Paesi membri.
Tutte questioni che a Bruxelles sono in ballo da mesi, senza però che si arrivi mai a una presa di posizione concreta anche per le divisioni tra i vari governi. Per Avramopoulos ormai non sarebbe più neanche una questione di fondi. «Gli Stati hanno avuto già un sacco di soldi» ha detto ieri il commissario, confermando che il problema vero «è fare una politica comune».
Politica comune che però come al solito stenta a vedere la luce. A maggio la Commissione europea dovrebbe finalmente presentare l’Agenda sull’immigrazione con all’interno linee guida che dovrebbero rappresentare un approccio «comune» al problema, mentre per la prossima settimana è già fissato un appuntamento tra Avramopoulos e il ministro degli Interni Angelino Alfano, con il quale dovrebbe organizzare una visita ai centri di accoglienza. Ma l’Italia preme anche e soprattutto perché dall’Europa arrivino interventi più concreti. A partire da una sempre promessa e mai mantenuta ridefinizione della missione europea che ha sostituito Mare nostrum. «Triton non basta più», ha ribadito ieri il ministro degli Esteri Gentiloni sottolineando ancora una volta come il problema immigrazione sia strettamente legato alla situazione libica.
Gli effetti di quanto accade nel paese nordafricano purtroppo si fanno sentire pesantemente anche nel Mediterraneo, e non solo per i barconi carichi di disperati che tentano di attraversarlo. Per la seconda volta in pochi mesi, i trafficanti hanno infatti sparato contro le navi, civili e militari, impegnate nelle operazioni di soccorso dei profughi a solo scopo di recuperare il barcone fatiscente sul quale navigavano i migranti. L’episodio è avvenuto lunedì a 60 miglia di distanza dalla Libia, dopo che un rimorchiatore italiano e una motovedetta della Guardia costiera islandese impiegata da Frontex, l’agenzia europea che coordina la missione Triton, avevano appena terminato il salvataggio di 250 migranti a bordo dei un barcone. A quel punto si è avvicinato un motoscafo dal quale sono stati sparati vari colpi di arma da fuco i aria. I trafficanti hanno quindi preso a rimorchio il barcone e si sono allontanati. «Questo è il segnale che i trafficanti stanno finendo le barche», ha spiegato il direttori esecutivo di Frontex Fabrice Leggeri.