La settimana che ha cambiato l’Unione europea ha modificato anche il suo approccio con i profughi, almeno quelli ucraini. Domani saranno sette giorni esatti dall’inizio dell’aggressione russa all’Ucraina e domani i ministri dell’Interno dei 27 torneranno a vedersi a Bruxelles dopo il vertice straordinario di domenica scorsa. Fissato da tempo, il summit avrebbe dovuto occuparsi di immigrazione su spinta soprattutto della Francia, con Emmanuel Macron deciso a presentarsi alle elezioni presidenziali di aprile (i tempi per ufficializzare la candidatura tra l’altro scadono venerdì) illustrando concreti passi in avanti sulle modifiche al Patto su immigrazione e asilo, fermo ormai da quasi un anno e mezzo, e soprattutto al trattato di Schengen. Modifiche che, nelle intenzioni di Parigi, avrebbero dovuto blindare le frontiere interne ed esterne dell’Unione agli arrivi di migranti.

La crisi ucraina ha invece rovesciato tutto. Non solo l’agenda dei ministri, facendo passare per il momento l’immigrazione in secondo piano, ma l’approccio stesso al problema profughi. Impossibile anche solo parlare di frontiere chiuse con davanti agli occhi di tutti le immagini di migliaia di persone disperate che le attraversano per fuggire da una guerra che si combatte in Europa. Fino a ieri sera sono stati 668 mila gli ucraini, tra i quali tantissimi bambini, che hanno fatto il loro ingresso nell’Unione. «Proponiamo di attivare il meccanismo di protezione temporanea per garantire loro uno status sicuro. Se lo meritano», ha annunciato Ursula von der Leyen.

La presidente della Commissione fa riferimento a quanto previsto da una direttiva del 2001 pensata per la guerra nell’ex Jugoslavia ma finora mai applicata, neanche per la crisi siriana del 2015. Per renderla operativa occorre una maggioranza qualificata di 2/3, vale a dire che domani almeno 18 ministri su 27 dovranno approvarla. Non sono previste sorprese, ma c’è chi teme che qualche problema possa arrivare dai soliti Paesi di Visegrad. Nonostante Polonia, Ungheria e Slovacchia stiano accogliendo il maggior numero di profughi (solo la Polonia finora registra il 55% degli arrivi), temono che il via libera alla direttiva possa costituire un precedente applicabile anche ad altre emergenze. Lo strumento prevede infatti un permesso temporaneo di un anno rinnovabile, libertà di movimento all’interno dell’Ue, assistenza sanitaria e diritto all’istruzione per i minori.

Di fatto l’equiparazione pressoché totale e automatica a quanti ottengono lo status di rifugiato. Inoltre, particolare non secondario, non è prevista in questo caso l’applicazione del regolamento di Dublino, con il Paese di primo arrivo obbligato a farsi carico di chi presenta domanda di asilo, tanto più che già oggi gli ucraini, ai quali non è richiesto un visto per entrare nell’Unione, possono spostarsi senza alcuna restrizione tra i vari Stati.
Tecnicismi che potrebbero però determinare un cambio di rotta nelle politiche migratorie dell’Unione, dal 2015 a oggi sempre più restrittive nei confronti dei migranti. Una possibilità per la quale spinge da tempo il Viminale e della quale ha parlato ieri anche Mario Draghi intervenendo al Senato sulla crisi ucraina. «Lo straordinario flusso di rifugiati che ha già incominciato ad arrivare dall’Ucraina – ha detto il premier – ci obbliga a rivedere le politiche d’immigrazione che ci siamo dati come Unione europea. In passato – ha proseguito Draghi – l’Unione si è dimostrata miope nell’applicare regolamenti datati come quello di Dublino, invece di adottare un approccio realmente solidale».

Non a caso nelle scorse settimane, in cambio di frontiere più «sicure», i Paesi che affacciano sul Mediterraneo hanno chiesto alla Francia garanzie certe sul ricollocamento dei migranti in Europa e domani nelle intenzioni di Parigi avrebbe dovuto esserci l’annuncio di un gruppo consistente di Paesi disponibili all’accoglienza. Poi, i carri armati russi si sono mossi e tutto è cambiato.