«Il compito della Bundesbank è assicurare il proprio obiettivo statutario, non partecipare al dibattito politico italiano», e con tutto il rispetto per la banca centrale tedesca «quando ha il desiderio di parlare con noi è la benvenuta partendo dall’assunto che l’Europa è dei cittadini, non dei banchieri né tedeschi né italiani». È di nuovo il Renzi-Telemaco quello che ieri a Villa Madama accoglie il presidente della Commissione Manuel Barroso per il suo primo incontro ufficiale da presidente della Ue, e poi lo affianca per la sua prima conferenza stampa – quella prevista a Strasburgo dopo il discorso di insediamento, mercoledì scorso, l’aveva cancellata per volare a Roma e arrivare nella ’camera’ di Vespa, che gli aveva allestito un’edizione straordinaria di Porta a Porta in prima serata. È di nuovo il Renzi brillante e sicuro di sé: «Io non parlo delle Sparkassen o delle Landesbanken», dice all’indirizzo di Jens Weidmann, presidente della Buba che giovedì ha avvertito l’Italia che «fare più debiti non aiuta la crescita». «La flessibilità non è una richiesta dell’Italia, ma serve all’Europa», replica, «l’Europa riparte se scommettiamo non solo sui valori economici. Io ho fatto l’esempio del Rinascimento che nacque da una crisi economica».

I rapporti con Angela Merkel, quelli con il Ppe e la polemica sulla «flessibilità» dei parametri europei sono il cuore delle domande dei cronisti. Con la cancelliera «è ottimo», con i politici tedeschi «io non ho visto polemiche e il portavoce del governo di Berlino conferma quello che sappiamo benissimo: non c’è nessuna polemica tra noi e il governo tedesco in ordine alla gestione della stabilità e della flessibilità». Quanto al Ppe, Renzi stavolta misura meglio le parole: «Penso che dobbiamo rispettare le regole. Anche sulla discussione del nome, il consiglio ha fatto una scelta a maggioranza, un fatto significativo, indicando Jean-Claude Juncker quale proposta al parlamento. Toccherà ora a lui individuare le figure della commissione e valuteremo sulla base delle sue scelte». Ma, aggiunge, «Juncker ha un documento approvato dal Consiglio, sono certo che ne rispetterà la sostanza».

Insomma, la polemica con il presidente del Ppe Weber, che da due giorni impegna le pagine dei giornali italiani, è utile a raccontare che l’Italia ora batte i pugni e che lo stile Renzi ha conquistato l’Europa. Ma nella sostanza, l’accordo sull’interpretazione della «flessibilità» c’è, e nel famoso documento del 27 giugno è scritto apposta in una maniera così vaga («un buon uso della flessibilità prevista nelle regole del patto di stabilità») che ciascuna famiglia della larga coalizione che dal 16 luglio governerà l’Europa (succedendo a sé stessa) potrà rivendicare di aver prevalso. La prova della verità verrà in autunno, sui conti.
Per ora tutto procede da copione, a dispetto del conflitto italo-tedesco di cui parlano i media. Lo dimostra un entusiasta Barroso che al suo fianco si complimenta con «l’agenda ambiziosa ma realistica», vuole persino raccontare di aver visto lungo su Renzi: «Quando lo incontrai per la prima volta, era il 2010 e era sindaco di Firenze, gli dissi: lei diventerà primo ministro in Italia».

Barroso vede lungo, dunque, anche quando elogia il governo Monti: «Nell’autunno del 2011 l’Italia era sull’orlo del precipizio e ha evitato il disastro finanziario». Renzi dovrà essere affidabile come Monti, dunque, se poi vuole sfoggiare qualche citazione mitologica, tanto meglio. Ma anche Barroso ha studiato il latinorum: «Pacta sunt servanda non è un detto dell’antica Roma, non di Bruxelles», avverte. Bastone e carota, e la carota sono le – doverose – aperture sull’immigrazione: «Il problema che affronta l’Italia è europeo, Frontex ha bisogno di più risorse e vi diamo per questo Frontex Plus. Senza il vostro intervento molti uomini, donne e bambini sarebbero morti: questo merita la nostra ammirazione. L’Italia è un paese ospitale e umanitario». Bravi italiani, ma «da tempo la Commissione chiede un approccio europeo di maggiore collaborazione».