Il ministro Tria sapeva che la giornata, in Lussemburgo per la riunione dell’Eurogruppo, non sarebbe stata delle migliori. Non è stato deluso ma neppure sorpreso.
La situazione era già chiara alla vigilia. Gli incontri lussemburghesi, quello di ieri con Dombrovskis, vicepresidente della commissione uscente e rientrante dal momento che probabilmente sarà confermato, quello di oggi con Moscovici, servono solo a ribadire. Il lettone anticipa le conclusioni, pur dicendosi pronto a valutare «elementi aggiuntivi». Evidentemente non reputa che siano arrivati.

A FINE COLLOQUIO ripete parola per parola quanto comunicato ore prima: «È necessaria una correzione notevole della traiettoria di bilancio, sia per quest’anno che per l’anno prossimo». Moscovici usa toni più delicati ma la sostanza è identica: «Vogliamo evitare la procedura ma per questo servono fatti concreti. L’Italia deve portare nuove cifre».

La sorpresa potrebbe essere l’esposizione del presidente dell’Eurogruppo, il portoghese Centeno. A differenza di Dombrovskis è tra i fautori di una linea se non morbida almeno non troppo rigida. Anche lui però affonda la lama: «Bisogna chiarire tutte le decisioni necessarie perché l’Italia rispetti il patto di stabilità».

In sintesi, Roma è sola. Eurogruppo ed Ecofin garantiscono pieno appoggio alla Commissione. L’Fmi entra in ballo chiarendo che i paesi ad alto debito rappresentano un rischio per tutta l’eurozona. Il ministro francese Le Maire si fa sentire, invitando l’Italia ad «afferrare la mano tesa della commissione».

La richiesta è doppia. Riguarda la legge di bilancio perché la Ue vuole impegni espliciti. Ma per quanto impegnative possano essere le parole, sempre di parole si tratta e non si può chiedere al governo italiano di scrivere la manovra con mesi di anticipo. Serve qualcosa di concreto subito e quel qualcosa non può che essere la manovra correttiva. I toni della Ue non sono mai troppo espliciti e l’abitudine non si smentisce neppure stavolta. Ma la posta, il prezzo da pagare per evitare che la procedura scatti è quello: manovra correttiva di pochi miliardi ma netta come segnale politico e come indicazione della direzione invertita e insieme impegni inequivocabili sulla legge di bilancio.

LA TENSIONE NEL GOVERNO deriva da qui. Tria la smentisce: «Nessun litigio con Salvini nel vertice di mercoledì. Mi chiedo anzi chi diffonde queste notizie. Alla Flat Tax ero favorevole anche in passato: bisogna vedere come si fa, con quali compatibilità, quando si fa». È un gioco di parole, alla Flat Tax in sé, in realtà, non è contraria neppure la Ue. Il punto dolente è farla in deficit. Ma in fondo questa è storia di domani. La tensione sotto pelle è sulla manovra, certo, ma ancora di più su quella richiesta di manovra correttiva che non permette il classico gioco a rinviare e che blocca il percorso che ancora un paio di giorni fa immaginava la Lega: bloccare subito la procedura, con tutti i rischi che l’avvio della stessa implica anche per quanto riguarda la reazione dei mercati, e poi affrontare la partita della finanziaria in autunno, secondo uno schema classico e già ben rodato. Proprio quello che Bruxelles vuole evitare.

TRIA PERÒ SULLA MANOVRA correttiva non concede spazi: «Se fosse necessaria… Ma non ce n’è bisogno». In realtà il ministro dell’Economia nelle settimane scorse e anche nell’intervento di due giorni fa in Parlamento qualche spiraglio lo aveva lasciato aperto. Ma su questo punto la maggioranza è ferrea: siamo già al braccio di ferro. Ormai, però, la Lega ha capito che il gioco al rinvio ha ben poche chances di successo. Salvini deve però ancora decidere se affrontare lo showdown con Bruxelles con questo governo e questo premier o dopo una crisi e nuove elezioni. All’origine delle fibrillazioni che scuotono di nuovo il governo c’è la consapevolezza di tutti, anche di Di Maio, che il bivio è questo e che il leghista dovrà scegliere presto.