L’ombra della manovra correttiva, e si tratterebbe di una manovra pesantissima, continua a incombere sui conti italiani nonostante gli esorcismi del ministro dell’Economia Giovanni Tria. Correzione dello 0,3% nel 2018, pari a 5 miliardi, ma l’anno prossimo tutto dovrebbe raddoppiare, 0,6%, come dire altri 10 miliardi. Non sono cifre nuove. Le aveva già sfornate la Commissione Ue a maggio, spiegando che la spiacevole incombenza deriva dal mancato rispetto dei tempi e degli obiettivi concordati ai fini del risanamento. Insomma, senza la mazzata «c’è il rischio di una significativa deviazione» dalla tabella di marcia verso il pareggio di bilancio.

Il governo aveva già escluso la possibilità di una manovra correttiva più volte, e l’ultima proprio giovedì. Ieri però l’Ecofin ha confermato le stime della Commissione aumentando il rischio che la manovrina, ma sarebbe più corretto definirla la manovrona, venga richiesta sul serio. Tria replica come può, cioè con un esercizio di equilibrismo: «Per il 2018 non cambiamo gli obiettivi. Si vedrà in consuntivo se abbiamo rispettato o no gli impegni. Riteniamo che non ci sarà allargamento o restrizione del bilancio, nel senso di una manovra correttiva». E’ una scommessa azzardata, tanto più che Bankitalia ha già limato le prospettive di crescita per il prossimo triennio, 1,3% quest’anno, 1% il prossimo, 1,2% nel 2020. Il tutto, mette però le mani avanti il bollettino economico di Bankitalia, a patto che ci siano «un contesto globale favorevole», prospettiva resa piuttosto incerta dalla guerra dei dazi, e «un quadro di conti pubblici compatibile con una graduale riduzione del rapporto debito/Pil». Cioè, in soldoni, si tratta di previsioni che «non tengono conto di alcun provvedimento che non sia ancora definito con un sufficiente grado di dettaglio». Insomma, che glissano su eventuali redditi di cittadinanza, Flat tax o interventi sulla Fornero.

Tria rassicura comunque Bruxelles: «Non ci sarà nessuna inversione di tendenza per quanto riguarda l’aggiustamento strutturale. Discuteremo sui tempi, sul profilo dell’aggiustamento ma il centro della manovra è ribaltare la tendenza ad aumentare la quota di spesa corrente a scapito di quella per gli investimenti». E’ la formula che il governo intende proporre alla Commissione: «Limitare fortemente la spesa corrente per ampliare il più possibile gli investimenti», perché quello sarebbe «un vero aggiustamento strutturale dell’economia e quindi anche un aggiustamento strutturale del bilancio». E’ vero, ammette il ministro, che negli anni scorsi all’Italia è stata concessa parecchia flessibilità proprio per incentivare gli investimenti, dei quali poi però si è visto poco e niente. Basta invertire questa tendenza perversa e il gioco è fatto.

Come «limitare fortemente la spesa corrente» senza tagli dolorosi Tria non spiega. Problemi di domani. Per ora si tratta di convincere Bruxelles non solo a soprassedere sulla richiesta di manovra-salasso correttiva, ma anche a concedere nuova flessibilità e nuove dilazioni. Missione non proprio facile dal momento che nelle settimane scorse la Bce ha criticato severamente Bruxelles proprio per aver concesso troppa flessibilità e troppo facilmente al governo di Roma.

Diplomatico il vicepresidente della Commissione, Dombrovskis, rinvia tutto all’autunno. Commentando l’incontro di giovedì con Tria non si sbilancia: «Serve ulteriore lavoro». Nel colloquio, prosegue, si è discusso delle prospettive di crescita più lenta del previsto sia in Italia che nell’eurozona che nell’intera Ue. Conclusione: «E’ necessario approfondire il lavoro sia per quest’anno che per il 2019. L’Italia, come gli altri Paesi, deve presentarci questo piano entro ottobre». Si vedrà.

Per Tria rischia però di aprirsi un altro fronte, stavolta interno al governo. Ieri Luigi Di Maio ha confermato l’intenzione della maggioranza di non ratificare il Ceta, l’accordo di libero commercio con il Canada. E ha rincarato di parecchio la dose: «Se anche uno solo dei funzionari italiani all’estero difenderà trattati scellerati come questo, sarà rimosso». E’ una linea che non piace per niente a Confindustria, il cui presidente Vincenzo Boccia non la manda a dire: «Non ratificare il Ceta sarebbe un grave errore. Siamo un Paese con alta vocazione all’export». Tria, preso in mezzo si barcamena: «Non ho studiato il contenuto ma la mia opinione è che il libero commercio, che si estende agli accordi commerciali, è una buona cosa». Ma senza sbilanciarsi: «E’ sempre bene avere accordi commerciali, bisogna vedere come si fanno e il contenuto. Siccome non ho studiato il contenuto e i particolari, in genere il diavolo sta nei dettagli quindi non so se c’è qualcosa che va o non va»