«L’Europa una risposta vera ce le deve dare. Non possiamo continuare ad affrontare da soli le terribili instabilità politiche che si sono create nei vari scacchieri africani e mediorientali». Il prefetto Mario Morcone è il capo del Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione del Viminale.

Prefetto Morcone, non la preoccupano le dichiarazioni che arrivano da Bruxelles?
Starei attento. Intanto a parlare è stato un portavoce della commissione europea e non un autorevole esponente. Certamente Frontex è una piccola agenzia, ma il ministro Alfano credo abbia detto chiaramente che è l’Europa che deve maturare una decisione. Ora vediamo quale potrà essere. Certo è però che, indipendentemente che sia Frontex o non sia Frontex, che ci siano o no i mezzi, l’Europa deve dire cosa vuole fare di fronte alle emergenze umanitarie.

Sia il ministro Alfano che il premier Renzi avevano parlato di una graduale sostituzione di Mare nostrum con Frontex. È un’ipotesi che a questo punto salta?
Questo non lo so. So che noi siamo fortemente esposti. Finora abbiamo accolto 103 mila persone e non finisce qui. Come Paese stiamo dando una dimostrazione di grande generosità.

Torna la polemica sui fondi destinati all’Italia per fronteggiare gli sbarchi. È davvero solo una questione di soldi?
No, è un problema anche di soldi, ma non solo. Nel senso che i percorsi di accoglienza e di integrazione devono far parte di scelte comuni. L’area Schengen, soprattutto per chi ha diritto alla protezione internazionale, è un’area di libero movimento delle persone. Quindi dobbiamo arrivare a un mutuo riconoscimento dei documenti di protezione internazionale.

Questo però richiederebbe una modifica del regolamento di Dublino, e molti Paesi non vogliono proprio saperne.
Se scendiamo su piano della modifica del regolamento di Dublino non andiamo da nessuna parte, soprattutto perché i Paesi nordici non vogliono sentire ragioni. Però se esiste un ufficio europeo dell’asilo, se esiste un’Europa dell’asilo, allora dobbiamo rendere più omogenei gli standard decisionali e riconoscibile il documento che viene dato nei singoli Paesi, con libertà di movimento anche per chi ha diritto alla protezione internazionale. Se sono siriano, vengo in Italia e mi riconoscono la protezione internazionale, devo poter andare anche in Germania o in Svezia, non è che per colpa del regolamento di Dublino devo tornare indietro.

Le parole di Bruxelles suonano come un’ammissione di impotenza da parte dell’Europa.
Io farei un discorso più largo. Qual è la politica estera europea? La risposta a questa domanda ci manca da anni. Siamo riusciti a fare delle stringenti scelte in materia economica, a costruire una serie di meccanismi in agricoltura anziché nella libera concorrenza ma in materia di politica estera la mia impressione di cittadino e di funzionario è che non sia ancora maturato un sentire comune.

In passato lei ha più volte sottolineato la necessità di intervenire nei Paesi di origine dei migranti. Come si può fare?
Il problema è esattamente questo. Si può fare attraverso un intervento dell’Unione europea o delle Nazioni unite, o almeno sotto l’ombrello delle Nazioni unite. Naturalmente stiamo parlando di un intervento di tipo umanitario, nessuno vuole fare operazioni neo coloniali. In Libia in primo luogo, ma parliamo di tutto il continente africano, del Medioriente. L’Europa deve porsi il problema di come rendere più sicura la vita dei cittadini di quei Paesi.

Si parla, e c’è un disegno di legge in questo senso, di accoglienza umanitaria grazie all’apertura nei Paesi di transito dei migranti di uffici in cui si possa stabilire il diritto all’asilo politico.
È un tema che il senatore Manconi ha posto più volte. Sono preoccupato perché dovrebbe essere una scelta non solo italiana ma europea perché i numeri sono tali che non ce la potremmo fare da soli. E poi c’è un altro discorso da fare: una cosa sono coloro che hanno diritto alla protezione internazionale e un’altra è il ragazzo tunisino e marocchino che cerca un percorso più appagante per il proprio futuro. Anche lui ha un’aspettativa giusta, però non sono due situazioni uguali e non possiamo trattarle allo stesso modo.

A che punto è il piano di accoglienza messo a punto dal Viiminale?
Devo dire che stiamo andando avanti abbastanza bene, seppure tra le resistenze che può immaginare. Ma va bene. Se pensa che nel 2009 abbiamo vissuto grandi problemi per 35mila persone, nel 2011 ne abbiamo vissuti di altrettanto gravi per 53mila mentre finora ne abbiamo accolti 103 mila è chiaro che il piano sta funzionando. Senza dichiarare lo stato di emergenza stiamo costruendo un percorso ordinario che prevede la condivisione dell’accoglienza dei profughi tra i tre livelli di governo, regioni, comuni e Stato, una scelta condivisa anche di hub regionali e modalità di accoglienza alle quali nessuno si deve sottrarre.

Il ministro Alfano ha ripetuto ancora una volta che a ottobre Mare nostrum finirà.
Veramente ha detto: a ottobre ci sarà il primo compleanno di Mare nostrum, non ce ne sarà un secondo. Che è una cosa diversa. Questo vuol dire che dopo ottobre una soluzione di qualche tipo deve venir fuori.

Ma c’è il rischio che la missione venga interrotta?
Non credo davvero che ci sia qualcuno che voglia prendersi questa responsabilità.