La crisi dei profughi che negli ultimi mesi ha quasi messo in ginocchio l’Europa e fatto sorgere nuovi muri fino al punto di mettere a rischio uno dei suoi principi fondamentali come il trattato di Schengen, potrebbe non essere niente se paragonata a quanto si starebbe preparando per il futuro. L’allarme arriva dalla Commissione europea che ha corretto al rialzo le stime degli arrivi di nuove masse di rifugiati nel vecchio continente, ipotizzando altri tre milioni di richiedenti asilo entro la fine del 2017. Per ora si tratta di stime che non terrebbero conto di alcune variabili fondamentali – come ad esempio un auspicabile fine dei conflitti in Siria e Libia o il raggiungimento di accordi con Paesi terzi per fermare i flussi di migranti – ma considerate comunque attendibili, tanto da essere inserite dalla commissione guidata da Jean Claude Juncker nelle previsioni economiche dell’autunno. Stime che, spiegano a Bruxelles, se confermate corrisponderebbero a «un aumento della popolazione dello 0,4%, tenendo conto che alcuni richiedenti asilo non riceveranno la protezione internazionale».
Non si tratta dell’unica notizia preoccupante. Un altro allarme, ben più importante e urgente, arriva infatti dall’Unhcr e riguarda i profughi che cercano di raggiungere il nord Europa attraverso la rotta balcanica. Stando all’Alto commissariato dell’Onu per i rifugiati tra novembre e il prossimo mese di febbraio sarebbero almeno 600 mila le persone che intraprenderanno il viaggi partendo dalla Turchia e dalla Grecia. 5.000 al giorno, costrette a marciare spesso a piedi e al freddo. «Le condizioni atmosferiche avverse della regione rischiano di aggravare le sofferenze di migliaia di rifugiati e migranti e potrebbero causare ulteriori perdite di vite se non verranno prese con urgenza le adeguate misure», avverte l’Unhcr chiedendo ai paesi donatori di fare uno sforzo economico per scongiurare il peggio: «Servono altri 96 milioni di dollari per rifugi a prova d’inverno, abbigliamento caldo, cibo e trasporto».

L’attenzione su quanto potrebbe accadere fin dalle prossime settimane è quindi massima. E le previsioni di queste ore non potranno non pesare sul vertice che l’11 e il 12 novembre riunirà a La Valletta i capi di Stato e di governo dell’Ue e di un nutrito gruppo di paesi africani e con cui l’Europa spera di trovare nuove forme, anche economiche, per fermare i flussi di migranti. «Sarà un momento importante per alzare il livello della cooperazione e per proseguire nei processi di Rabat e Khartoum, coordinando la lotta ai trafficanti di uomini a una gestione più ordinata dei flussi migratori» spiega il sottosegretario agli Esteri Benedetto Della Vedova, appena tornato da un viaggio i Germania dove ha fatto il punto sulla crisi dei migranti con esponenti del governo di Berlino. «L’obiettivo è quello di preparare un trust fund per aumentare la cooperazione, con aiuti fino a 1,5 miliardi di euro. L’Italia ha già contribuito con 10 milioni di euro».

Un vertice non privo di contraddizioni per l’Europa, visto che, tra gli altri, è prevista la partecipazione anche di esponenti del regime eritreo.

Ulteriore segno della gravità del momento è la decisione annunciata nei giorni scorsi da Donald Tusk di far seguire al summit con i paesi africani un vertice informale dei capi di Stato e di governo dell’Ue, sempre a Malta. Nella lettera di invito inviata nei giorni scorsi a paesi membri, il presidente del consiglio europeo ha ricordato come la situazione sia ancora grave: «Il flusso migratorio continua a un ritmo senza precedenti», ha scritto. «A ottobre abbiamo raggiunto il livello record di 218 mila rifugiati e migranti che hanno attraversato il Mediterraneo». Ma soprattutto ha messo in evidenza i rischi per l’Unione derivanti dalla decisione di alcuni paesi di erigere nuove barriere per fermare i migranti. «L’unico modo per evitare lo smantellamento di Schengen – ha avvertito Tusk – è il rinforzo della frontiera esterna europea». Ed è proprio questa la partita che Bruxelles si prepara a giocare con la Turchia e i paesi africani.