La stretta era nell’aria ma la crisi ancora in corso alla frontiera tra Polonia e Bielorussia, con alcune migliaia di migranti bloccati da mesi al gelo e per ora senza via d’uscita, ha dato a Bruxelles il pretesto per intervenire sul codice Schengen, il trattato che garantisce la libertà di movimento tra gli Stati membri e fino a ieri uno dei principi fondativi dell’Unione europea. Che adesso, se parlamento e Consiglio daranno il via libera, viene cambiato inserendo nuovi limiti per svolgere controlli alle frontiere interne ma soprattutto ampliando la possibilità di limitare gli spostamenti dei migranti all’interno dell’Unione.

UFFICIALMENTE, infatti, le nuove norme serviranno per far fronte a emergenze come quelle dettate dai rischi legati al terrorismo o alla salute pubblica, come ad esempio la pandemia. Di fatto rappresentano l’ennesimo ostacolo, più volte chiesto da Paesi come la Francia a cui spetta il prossimo turno di presidenza Ue, ai cosiddetti movimenti secondari, gli spostamenti di quei migranti che una volta sbarcati cercano di trasferirsi in Nord Europa, in particolare verso Germania, Belgio, Olanda e la stessa Francia che adesso avranno la possibilità di rimandarli più velocemente verso i Paesi di primo approdo, come Spagna e Italia. «I movimenti secondari sono qualcosa che sta succedendo e non è previsto dalla legge. Si tratta del movimento non autorizzato di migranti irregolari», ha spiegato il vicepresidente della Commissione Margaritis Schinas, che con la commissaria agli Affari Interni Ylva Johansson ha messo a punto la proposta di modifica del codice. «Quello che proponiamo oggi è stabilire una procedura in modo che quando una pattuglia intercetta qualcuno al confine, lo può trasferire nello Stato da dove proviene».

LA PREMESSA è che ogni Stato potrà ripristinare i controlli alle frontiere per motivi eccezionali ma «prevedibili», come indicato dall’articolo 25 del trattato, fino a un massimo di due anni. Attualmente il temine è fissato in sei mesi, che però possono essere prorogati all’infinito. Cosa che di fatto rende definitiva la chiusura. «A oggi sono sei i Paesi Ue che hanno controlli interni. Andando avanti di sei mesi in sei, alcuni sono a sei anni di controlli interni», ha spiegato Johansson.

Chi vorrà chiudere i confini dovrà «giustificare la proporzionalità e necessità della sua azione tenendo in considerazione l’impatto sulla libertà di circolazione». Prevista la modifica anche di un altro articolo, il 28, che oggi indica la possibilità di bloccare in maniera unilaterale le frontiere nel caso si verifichino eventi imprevisti per 30 giorni estendibili fino a tre mesi (oggi i limiti sono fissati in 10 giorni iniziali che possono essere prolungati fino a un massimo di due mesi).

L’AZIONE di contrasto dei migranti potrà avvenire però soltanto alle frontiere e la Commissione invita per questo gli Stati a organizzare pattugliamenti misti, con agenti di entrambi i paesi confinanti. «L’unica area che copriamo con questo regolamento per quanto riguarda i movimento secondari – ha proseguito Schinas – è quella dei pattugliamenti congiunti al confine dove è la polizia che stabilisce effettivamente l’arrivo di un irregolare da uno Stato membro e può intervenire per rimandarlo indietro».

Ma a Bruxelles si guarda anche a quanto accade ai confini orientali dell’Unione e in particolare all’uso dei migranti fatto dalla Bielorussia di Alexander Lukashenko. Per questo nel codice vengono introdotte nuove misure per contrastare «attacchi ibridi» come quelli visti ai confini di Polonia, Lituania e Lettonia.

Tra queste il via libera a una limitazione dei passaggi alla frontiera e l’intensificazione dei controlli, ma anche la possibilità di estendere fino a quattro settimane il termine per la registrazione delle richieste di asilo che potranno essere esaminate direttamente alla frontiere. Un giro di vite inizialmente previsto solo per i tre Paesi interessati dalle manovre di Lukashenko ma che ora rischia di diventare valido per tutti gli Stati membri.