E’ necessario ricordare il documento prodotto dalla Presidenza del Consiglio del governo Gentiloni inerente la Torino-Lione lo scorso novembre, per comprendere la portata politica della vicenda Tav. Quel documento scriveva che i trasporti sull’asse est-ovest, tra Italia e Francia sono frazionali rispetto quanto preventivato in fase progettuale. Ma, concludeva il documento, il Tav si deve fare lo stesso.
Viene da supporre, a volte, che se non esistesse il movimento Notav probabilmente non esisterebbe il M5s e, forse, non esisterebbe nemmeno il Tav.

Le dimensioni politiche afferenti alla trentennale battaglia della val Susa emergono nei giorni in cui prende piede l’ipotesi che un governo pentaleghista possa ascendere ai vertici del potere in Italia.

Ieri è arrivato a Torino Laurens Jan Brinkhorst il coordinatore della rete europea Ten-T, nominato nel 2014 dalla Commissione Europea, già segretario di Stato per gli affari europei e viceministro dei Paesi Bassi. Brinkhorst ha partecipato, evento insolito, alla conferenza Intergovernativa della Torino–Lione, svoltasi presso la sede di Telt, la società italo-francese incaricata della progettazione e della realizzazione dell’opera. Prima dell’incontro il coordinatore ha rilasciato una dichiarazione stupefacente: «Sarebbe un grave errore circondare l’Italia con il muro delle Alpi come vorrebbe fare Trump al confine con il Messico. Per questo l’attraversamento est-ovest della pianura Padana è una scelta strategica. Sul corridoio passerebbe il 18 per cento delle merci europee. «Ma il parallelo tra le Alpi – che per altro a differenza del muro trumpista esistono da qualche milione di anni e mai nessuno si è accorto che viviamo in Messico – non è sembrato sufficiente a Brinkhorst: «La Torino-Lione – ha aggiunto – è molto più importante rispetto a 30 anni fa, è un’opera strategica per l’Europa intera. È un’infrastruttura europea, non franco-italiana ed è inconcepibile pensare di costruire un muro attorno all’Italia. Cosa ne sa il signor Di Maio della situazione di trenta anni fa se ne ha trentuno»?

Al coro pro Tav, ma con toni vagamente meno ansiogeni, si è unito Louis Besson, presidente della commissione intergovernativa franco-italiana per la Torino-Lione: «Rispetto le scelte degli elettori italiani, ma mi auguro che prevalga il buon senso. E penso che, se sarà necessario, potremo sederci attorno a un tavolo e capire i punti che si possono migliorare, andando oltre i problemi». Qualora il nostro Paese recedesse andrebbe incontro a penali «di somme considerevoli, il costo sarebbe un multiplo di quanto già speso».

Non si sa di quali penali parli dato che non sono previste da alcun accordo. Vi sarebbero da restituire dei finanziamenti pari a 1,4 miliardi, una cifra di gran lunga inferiore al preventivo complessivo, pari a ventisei miliardi di euro come da stima della Corte dei Conti di Francia.
Louis Besson è il soggetto a cui vorrebbe parlare Luigi Di Maio, per «convincerlo che il Tav è un progetto vecchio di trenta anni, ormai superato».

Dopo l’illuminazione sulla via della Torino–Lione che ha colpito improvvisamente il presidente francese Emmanuel Macron, che aveva messo in «pausa di riflessione» il progetto solo a luglio, mentre nel bilancio dello Stato non vi era traccia di stanziamento alcuno per la nuova ferrovia – ora la passione per la grande opera per eccellenza riesplode presso l’Unione europea.

Macron ha improvvisamente sbloccato finanziamenti per la realizzazione della sezione transfrontaliera per un’opera che, notoriamente, vorrebbe chiudere nel cassetto dei ricordi. Ma il Tav, come da sempre ripete il movimento Notav, è «ben più di un treno».
Chiaramente oggi la vicenda dell’alta velocità finisce dentro l’agone politico europeo: sebbene le pressioni siano sempre state forti non era mai successo che vi fossero spinte così potenti sul piano internazionale.