Due mesi di tempo. La pubblicazione del Rapporto sul debito della Commissione europea, che verrà presentato stamattina dal vicepresidente della Commissione Dombrovskis, dal commissario all’Economia Moscovici e dalla commissaria per il Lavoro Thyssen, non comporterà l’avvio di nessuna procedura di infrazione ai danni dell’Italia. Ma se per la fine di aprile la manovra non sarà stata avviata il collegio dei commissari aprirà la procedura per deficit eccessivo già nella prima settimana di maggio.

La scelta della commissione non è stata priva di opposizioni. La linea morbida sostenuta dal presidente Juncker, che sta resistendo a un vero e proprio assedio che ha per obiettivo le sue «spontanee» dimissioni, e da Moscovici ha trovato serie resistenze in seno alla Commissione, dovute al timore che il «permissivismo» nei confronti dell’Italia contagi altri Paesi. Alla fine è prevalsa la linea morbida, soprattutto in conseguenza di considerazioni sulla politica interna italiana.

Bruxelles si rende perfettamente conto che la scissione del Pd indebolisce un governo che i duri già definiscono sprezzantemente «ad interim». Ma una destabilizzazione totale dell’Italia non è nell’interesse di nessuno: non a caso Moscovici ha ripetuto che «l’Italia ha un governo e noi lavoriamo con il presidente Gentiloni e con il ministro dell’Economia». Dunque la Commissione ha deciso di fidarsi degli impegni presi dal ministro dell’Economia Padoan, ricordando però che sono tassativi.

La conferma piena della promessa, da parte di Padoan, arriva a strettissimo giro: «Confermo che la correzione si farà e questa è una cosa che toglierà ogni dubbio sulla coerenza dell’Italia con le regole europee», ha detto il ministro parlando con i giornalisti, senza mancare di ripetere che la manovra sarà, come richiesto, pari allo 0,2% del Pil, cioè di 3,4 miliardi, e che verrà rispettato anche il calendario: entro e non oltre la fine di aprile. Il ministro, come da copione, ha sfoggiato massimo ottimismo anche sui fronti nevralgici dello spread e del debito pubblico. Il primo, ha segnalato, «si è stabilizzato» e dai primi di febbraio è comunque sceso di 10 punti, da 200 a 190. Certo è sempre elevato, ma questa, per Padoan, è una conseguenza diretta dello shock rappresentato da Donald Trump. Quanto al debito, il ministro italiano si è dichiarato certo della sua «sostenibilità».

La strategia per abbassarlo passa anche per le privatizzazioni. Sul tema Padoan non ha lasciato margini di dubbio. «Le privatizzazioni – ha puntualizzato – non sono la via maestra per ridurre il debito, che è invece la crescita». Tuttavia anche aggredire il debito è «uno degli svariati scopi delle privatizzazioni» insieme al «miglioramento delle imprese partecipate, come dimostrano il caso delle Poste, la cui efficienza è molto migliorata dopo la cessione della prima tranche, e di Enav». Di sfuggita, mentre a Roma i taxisti assediavano la sede del Pd, il ministro dell’Economia ha anche affrontato il tema della liberalizzazione di quel settore. Salomonico: «Va fatta ma con una transizione dolce».

La vicenda italiana si è inserita anche ieri nel quadro dello scontro sempre più duro che si combatte tra falchi e colombe a Bruxelles e a Berlino. Juncker è preso di mira dal ministro delle Finanze tedesco Scaheuble, che accusa la Commissione di non assolvere al compito di sorvegliare il rispetto dei Trattati. Dal momento che la Commissione non può non basarsi su considerazioni politiche, come è appunto capitato nel caso italiano, il capo dei duri d’Europa propone di passare il verdetto sui bilanci dei singoli Paesi al Fondo salva-Stati, che baserebbe il giudizio solo su criteri di rispetto letterale dei trattati. Il commissariamento della Commissione.

Lunedì Jean-Claude Juncker aveva smentito la voce di imminenti dimissioni, che aprirebbero le porte al vicepresidente finlandese Katainen, un duro. Ieri ha replicato indirettamente a Schaeuble. Ha ripetuto che «euro non significa austerità» e che la sua posizione è proprio «contro l’austerità cieca», come dimostrano appunto i 19 miliardi di flessibilità concessi all’Italia.

Ma è evidente che le ostilità non si fermeranno qui e che per mesi il fronte italiano resterà la prima linea della guerra europea.