Dopo una breve pausa estiva riprendono i colloqui istituzionali tra Cina e Ue. Il 28 settembre l’Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza Josep Borrell ha incontrato in video conferenza il Ministro degli esteri cinese Wang Yi per discutere delle relazioni bilaterali. Come spesso accade, i due comunicati ufficiali non si somigliano affatto: in quello di Bruxelles si parla del dialogo Ue-Cina sui diritti umani, di Taiwan e della cosiddetta “One China policy”, della nuova strategia europea per l’Indo-Pacifico e della necessità di cooperare per la stabilità regionale sia in Myanmar che in Afghanistan.

Nella sua nota più scarna Pechino invece insiste sul rispetto reciproco, chiedendo terreni d’incontro e la riduzione degli antagonismi. Alla fine, en passant, si leggono le aree deputate alla cooperazione bilaterale: COVID-19, cambiamento climatico e conservazione della biodiversità. Molta forma, poca sostanza.

Una frase però salta all’occhio: nel comunicato cinese si legge che Bruxelles non intende impegnarsi né in confronti istituzionali con Pechino né in una “nuova guerra fredda”. Il malcelato riferimento a Washington rimarca la pressione a cui l’Unione europea è sottoposta nella rivalità tra Cina e Stati Uniti. Bruxelles è infatti sempre più chiamata a decidere da che parte stare, mentre cerca di svincolarsi dalle logiche polarizzate per trovare la sua “autonomia strategica”.

I rapporti bilaterali sono in una fase delicata, con Bruxelles che cerca di essere assertiva e con Pechino che assertiva invece lo è già da tempo. In politica estera il blocco dei 27 si muove spesso con ritardo, e le relazioni con la Cina non sono un’eccezione. A volte sono gli Stati membri che singolarmente spingono per azioni più decise.

Esempio è la nuova strategia europea per l’Indo-Pacifico, snodo cruciale del commercio marittimo internazionale, e area geografica che l’Ue per anni si è ben guardata anche solo dal nominare nel timore di infastidire Pechino. Caso a sé è invece la Francia che anche grazie ai suoi territori d’oltreoceano aveva già presentato il suo programma nel 2018, a cui hanno fatto seguito quello tedesco e quello olandese. Parigi guarda alla regione sotto una lente securitaria e ha poco gradito il nuovo patto militare tra Usa, Regno Unito e Australia (Aukus). Si è sentita pugnalata alle spalle, pagando probabilmente lo scotto di una politica europea più moderata sulla Cina rispetto a quella degli Usa e dei suoi alleati.

Un altro Stato Membro apertamente più audace è la Lithuania, che dopo aver accettato che Taiwan aprisse un ufficio di rappresentanza a Vilnius, ha recentemente sconsigliato l’utilizzo di smartphone cinesi per motivi legati alla censura. Insieme a Repubblica Ceca, Slovacchia e Polonia, la Lithuania è diventata il quarto paese europeo a donare vaccini a Formosa. Per quanto simboliche, queste azioni ribaltano la percezione errata che etichetta i paesi dell’Europa centro-orientale come i “cavalli di Troia” di cui Pechino si serviva per minare la coesione dell’Ue attraverso l’ormai decaduto format politico “17+1” – che Vilnius per prima ha abbandonato a maggio 2021.

Pechino non ha mai nascosto la sua contrarietà a una politica estera indipendente di Taipei, e spesso gioca sulle sottigliezze linguistiche per manipolare la narrazione dei rapporti tra Formosa e i paesi terzi. È il caso della “One China policy” che figura nel comunicato europeo, contrapposta al “One China principle” su cui insiste quello di Pechino: mentre la prima riconosce l’esistenza di una sola Cina, la seconda implica la sovranità cinese di Taiwan.

Sebbene l’Ue non abbia intenzione di riconoscere formalmente la Repubblica di Cina, appare chiaro che Taipei figurerà in maniera più prominente nelle politiche di Bruxelles. Oltre a una visita di ufficiali governativi e imprenditori taiwanesi pianificata per fine ottobre a Bratislava, Praga e Vilnius, rapporti più stretti con l’isola sono incoraggiati anche dal Parlamento europeo che vorrebbe una maggiore cooperazione tecnologica e anche un trattato bilaterale per gli investimenti.

Per ora gli occhi sono tutti puntati sul cambio della guardia in Germania, con uno sguardo anche alle presidenziali francesi previste per la primavera del 2022. La nuova politica sulla Cina di Berlino difficilmente si scosterà in maniera radicale da quella dell’era Merkel, ma certamente rientrerà in un più largo cambiamento di vedute, con la “commissione geopolitica” di Ursula Von der Leyen che cerca il suo posto tra Washington e Pechino.