«A San Diego, alla estrema punta meridionale della California, a pochi chilometri dal confine messicano … a San Diego, anzi a La Jolla … su questa sponda del Pacifico … in questa sua casa affacciata sull’oceano … all’orizzonte, dietro la vegetazione quasi tropicale della collina di La Jolla, si intravvedono le torrette degli incrociatori della base militare di San Diego, una retrovia del Vietnam». Novembre 1972. Uno scenario luminoso, pare disegnato a matita da David Hockney: le palme verdi, il mare celeste, gli incrociatori grigio ferro. Un luogo sereno, sì, dove alla fonda si raduna un contingente della Task force 77 della Us Navy. Dallo scorso mese di maggio è impegnata a supporto dei massicci bombardamenti dei Boeing 52 dell’US Air Force. La feroce offensiva Linebacker, sospesa (in vista delle elezioni presidenziali che il 7 novembre daranno la vittoria a Richard Nixon), il 23 ottobre. Da pochi giorni, dunque, allorché Herbert Marcuse, al telefono, dice a Luciana Castellina: «vieni per il weekend, trova il tempo, così possiamo parlare un po’ più a lungo, mi racconti dell’Europa, di cosa fa il manifesto». Presso Marcuse, in quella casa sul Pacifico dove è mantenuto «fino al puntiglio lo stile della vecchia Europa», Castellina è ospite per due giorni. Giorni che corrono «fitti di domande e risposte, più quello che lui chiedeva a me che quello che io riuscivo a chiedere a lui».

La guerra che dura da sette anni: «è incredibile – mi dice Marcuse additando le navi – gli americani hanno compiuto in Vietnam crimini paragonabili a quelli dei nazisti, eppure sono così pochi a reagire». E aggiunge: «più che colpevoli si sentono frustrati perché i più poveri li hanno sconfitti: e frustrazione e aggressività si alimentano a vicenda». E già da qui altre questioni si evincono, e di rilievo, che Castellina e Marcuse nella conversazione toccano. Porsi adeguate domande e tentare persuasive risposte. È necessario capire perché, nelle società industriali avanzate, sono minoranze («pochi») a reagire. E perché si mostrano portatori d’una alternativa vincente quanti contrastano il sistema dal di fuori («i più poveri»). Si tratta di argomenti che Marcuse ha affrontato ne L’uomo a una dimensione.

Lascio la pagina di Castellina e apro quel celebre libro che ha per sottotitolo Studies in the Ideology of Avanced Industrial Society, ove leggo: «le tendenze totalitarie della società unidimensionale rendono inefficaci le vie ed i mezzi tradizionali di protesta … tuttavia, al di sotto della base popolare conservatrice vi è il sostrato dei reietti e degli stranieri, degli sfruttati e dei perseguitati di altre razze e di altri colori, dei disoccupati e degli inabili». È la loro presenza, il loro Grande Rifiuto, sostiene Marcuse, che rende reale e attuale l’istanza rivoluzionaria. E qui riporto le parole conclusive, sigillo di quei ragionamenti: «All’inizio dell’era fascista, Walter Benjamin ebbe a scrivere: ‘Nur um der Hoffnungslosen willen ist uns die Hoffnung gegeben’ (È solo a favore dei disperati che ci è data la speranza)».

Così Marcuse nel 1964. Torno alle conversazioni de La Jolla e alle domande del novembre 1972, al consuntivo che si deve fare dopo l’estendersi dei movimenti di contestazione e protesta, cresciuti in Europa e in America che, ritiene Castellina, impongono un aggiustamento, alcune messe a punto riguardo, almeno, a due questioni che Marcuse non può disconoscere. La prima: che le dinamiche interne allo sviluppo capitalistico hanno esteso la base di massa di un radicalismo rivoluzionario. La seconda, strettamente connessa, l’esigenza d’un soggetto unificante «capace di sviluppare coscienza nelle masse». E Marcuse conviene.

Allora «cosa cambieresti, gli chiedo, se dovessi riscrivere oggi One-Dimensional Man? ‘Sottolinerei di più l’importanza delle tendenze disgregatrici che operano nel sistema. Ma non sarei più ottimista di allora, perché direi che proprio nella misura in cui queste tendenze crescono, cresce la controrivoluzione’». Il filosofo mette in conto una dura replica del sistema che, in assenza di una salda tenuta delle culture democratiche borghesi, fomenta gli irrazionalismi e «può produrre fascismo». Così Luciana Castellina e Herbert Marcuse a La Jolla, California, nel novembre 1972, quarantasette anni fa.