Tra meno di due mesi saranno passati 23 anni dal duplice omicidio di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, assassinati da un commando il 20 marzo del 1994 a Mogadiscio. 23 anni durante i quali non si è riusciti a fare luce sull’omicidio della giornalista del Tg3 e del suo operatore, tanto che il 19 ottobre dello scorso anno la corte d’Appello di Perugia ha scarcerato, dopo 16 anni, l’unico imputato, il somalo Hashi Omar Hassan. Adesso la mamma di Ilaria, Luciana Alpi, chiede che l’inchiesta sulla morte della figlia e di Miran venga riaperta per scoprire almeno chi e perché ha avuto interesse nel depistare la ricerca della verità fornendo un «colpevole» di comodo. E con lei a chiedere giustizia per quelle morti c’è un fronte che vede schierati la Federazione della stampa, l’Usigrai e il capogruppo del Pd in commissione Giustizia della Camera Valter Verini. «La sentenza di Perugia – ha spiegato ieri quest’ultimo in una conferenza stampa tenuta a Montecitorio insieme a Luciana Alpi – ha confermato quello che la famiglia, i legali e l’opinione pubblica democratica hanno sempre saputo: Ilaria Alpi e Miran Hrovatin sono stati assassinati perché avevano scoperto traffici illeciti di armi e rifuti all’ombra della cooperazione internazionale».

Un passaggio fondamentale nella ricerca della verità si è avuto a febbraio del 2015 quando una giornalista della trasmissione Chi l’ha visto?, Chiara Cazzaniga, rintraccia e intervista a Londra Ahmed Ali Rage, detto «Gelle», principale teste dell’accusa visto che era stato proprio lui a indicare Hashi come una delle persone che facevano parte del commando entrato in azione a Mogadiscio. Alla giornalista Gelle racconta però un’altra versione, ovvero quella di non essere stato neanche presente sul luogo dell’attentato quando il commando composto da sette uomini entrò in azione, visto che si trovava nell’ambasciata americana a Mogadiscio, e di non sapere niente della morte di Ilaria e Miran. Aggiungendo che alcuni anni dopo i fatti gli era stato chiesto di indicare Hashi come uno degli autori dell’omicidio perché l’Italia aveva interesse a chiudere in fretta le indagini.

Nelle motivazioni delle sentenza con cui hanno assolto Hashi, i giudici di Perugia sottolineano anche altri passaggi importanti. Come il fatto che Gelle era residente da anni in Inghilterra ma non è mai stato ascoltato come testimone nel processo a carico dell’uomo che accusava. Ma anche le testimonianze di numerosi cittadini somali, alcuni dei quali ascoltati dalla Digos nel 1998, altri dalla Commissione parlamentare d’inchiesta che aveva indagato sull’omicidio, che smentivano sia la presenza di Rage sul luogo dell’’attento sia che Hashi avesse fatto parte del commando. Anche in quest caso, però, nessuno di loro è stato ascoltato nel corso del dibattimento.

A questo punto si ricomincia. E se 23 ani dopo i fatti è certamente ancora più difficile trovare i mandanti e gli esecutori dell’omicidio di Ilaria e Miran, si può almeno tentare di rintracciare quanti fecero di tutto perché non si arrivasse mai alla verità.