Non è così facile incontrare in Italia Lucia Ronchetti, una delle compositrici nostrane di maggior successo in Germania e non solo, ma Romaeuropa è riuscito a portare ieri (con replica stasera) a Villa Medici il suo lavoro Anatra al Sal. Una raffinata e divertente disputa musicale fra sei celebri cuochi che accende il salone dell’Accademia di Francia con una creazione musicale e teatrale molto composita, ricca di rimandi ai capolavori antichi: eppure il titolo era già presente nel suo catalogo, è una ripresa?
No, è una prima assoluta, una versione tutta nuova di un lavoro nato nel duemila. Era il primo pezzo che avevo scritto per i Neue Vocalsolisten di Stoccarda, l’inizio di una lunga collaborazione, e anche il primo incontro con Ermanno Cavazzoni, che aveva inventato un testo davvero stimolante, peraltro in un epoca in cui l’ossessione per gli chef e i cuochi non era ancora di moda. Avendo a disposizione sei cantanti strepitosi avevo giocato la composizione su parametri molto virtuosistici, aiutata dalla scrittura di Cavazzoni. Dopo molti anni, dovendolo riprendere, ecco che il librettista si è ribellato!

Come ribellato? In che senso?

Beh scherzo, lavoriamo insieme da anni e ci capiamo bene. Ermanno mi ha spiegato che all’epoca il taglio spiccatamente virtuosistico comprometteva la comprensione del testo e mi ha proposto di riscriverlo con un’altra formula, una sorta di drammaturgia sonora con la sua partecipazione come voce recitante, un monologo in cui le sei voci dei cuochi potevano succedersi via via. Mi è sembrata una buona idea, anche perché si è aggiunta la partecipazione di Ready Made Ensemble e di Gianluca Ruggeri. È sua la proposta di inserire i pezzi seicenteschi di Banchieri e Lasso, a tema culinario, e poi una sua versione di Water Walk di Cage. Così è diventato un curioso pezzo a più mani, che mi piace moltissimo.

Lei lavora molto nei teatri tedeschi, ci sono nuovi appuntamenti importanti all’orizzonte?

Sono mesi che lavoro indefessa per due creazioni musicali molto diverse fra loro, una a Dresda, e l’altra a Mannheim. Alla Semperoper di Dresdra a febbraio presento un lavoro tratto da lettere e libretti di Metastasio, in cui si incontrano il mondo musicale settecentesco e il ‘dietro le quinte’ del teatro, con la querelle fra opera seria e opera comica, sulla traccia della Ariadne auf Naxos di Strauss. L’opera di Mannheim ha un grande organico, con doppio coro, coro di bambini; il librettista è Cavazzoni e la regia è di Akim Freyer, un vero genio. Si tratta di un’avventura-incubo di un ragazzo mai cresciuto, che vive in famiglia, e si ritrova in una folle biblioteca notturna perché il suo esame di maturità è stato dichiarato scaduto da un’assurda disposizione burocratica.

In Germania ha trovato molti stimoli sul terreno dell’opera lirica. Qual è il motivo.?

Anche con la crisi teatri, festival e istituzioni musicali tedesche non hanno smesso di rinnovarsi e hanno investito su nuove opere, su piccole creazioni musicali a costo ridotto, su nuovi spazi, anche insoliti. In Italia avremmo potenzialità perfino superiori, ma non si lavora sul pubblico, che pure ci sarebbe, non c’è spinta né investimento culturale sul nuovo: le prime in un anno si contano a malapena sulle dita di una mano, non si innesta un circolo virtuoso; allora tutto diventa difficile.

Quali sono i compositori che l’hanno più influenzata, proprio nel suo percorso di operista?

Sono stata fortunata, ho potuto seguire una parte importante del lavoro di Sylvano Bussotti, che a Torre del Lago realizzava regie con mezzi imponenti, mentre componeva lavori per i maggiori teatri italiani. Una stagione magica. Al tempo stesso ho assistito a molte, delle maggiori realizzazioni che hanno consacrato la carriera di Salvatore Sciarrino, che è stato un grande punto di riferimento. Da poco ho visto montare a Berlino una versione del suo Macbeth, uno degli spettacoli più esaltanti che abbia visto. Infine alcuni lavori seminali di Giorgio Battistelli. E naturalmente Nono, la cui musica in Germania è molto eseguita.