Gli anni ’80 sono spesso considerati i più bui della produzione bowiana, anche se esordiscono in modo scintillante. Bowie, stanco degli esperimenti di fine anni ’70, vuole tornare alle sue radici r&b. Come in una band rock’n’roll dei ’50, ambisce a essere unicamente vocalist di un gruppo in cui non suona. Let’s Dance (’83) lo introduce nell’élite delle superstar globali. Alla produzione è chiamato Nile Rodgers degli Chic, affermato produttore soul dance. La chitarra rock di un ancora sconosciuto Steve Ray Vaughan fa così da contraltare alla magnifica eleganza della sezione ritmica, che conta vari componenti degli Chic (compreso Rodgers) e ai superbi arrangiamenti soul pop di quest’ultimo.
L’lp il cui successo è stratosferico, non manca di riempitivi, ma alcune tracce come la colossale novelty soul dance della title track, l’epica Ricochet e l’evocativa Cat People (composta con Moroder) figurano tra gli apici della scrittura bowiana. Altro pezzo forte è l’ambigua China Girl, anche se la sua resa è più banale di quella dell’originale interpretata da Iggy Pop.

PRESSATO dalla sua nuova label, la EMI America, annoiato dalla musica, perso in sogni di attore cinematografico che presto si infrangeranno, l’artista chiama come produttore per il suo nuovo disco un semisconosciuto Derek Bramble, con poche e sparse referenze in ambito black music, e come ingegnere del suono Hugh Padgham, già produttore dei Police, nel vano tentativo di appropriarsi del reggae bianco. Il progetto di Bowie è di cantare sullo sfondo di una big band dei tempi moderni, per cui recluta Arif Mardin, per gli arrangiamenti degli archi, e la sezione di fiati che lo segue in tour. Ma Bramble si rivela un incompetente (sarà all’ultimo sostituito da Padgham) e le 9 canzoni (tra cui 5 co-firmate da Iggy Pop, con e senza Bowie, e 2 cover) soffrono di una produzione sfasata, senza centro, con sonorità spesso fuori luogo. Nonostante il fallimento artistico l’album, battezzato Tonight, svela qua e là momenti di gran classe, cosa che si può dire meno del successivo Never Let Me Down (’87), un goffo tentativo di recuperare sonorità dei ’70 per confezionare un disco più rock ma sempre con un piede nel pop, con il risultato che le poche buone idee si perdono nella pretenziosità di una produzione piatta e indecisa.

NONOSTANTE l’altalenante ispirazione di quegli anni, la EMI/Parlophone è riuscita a confezionare un box (Loving The Alien) che, oltre ai dischi citati, racchiude in 11 cd una vasta serie di chicche dell’epoca: splendidi singoli quali This Is Not America e Absolute Beginners, remix, brani tratti dalla soundtrack di Labyrinth e altro. Il cd intitolato Dance raduna invece 12 rari remix. Un doppio cd copre una data del «Serious Moonlight Tour» dell’83, purtroppo già senza Ray Vaughan, mentre altri due ne riportano una del meno brillante «Glass Spider Tour« dell’87. Da citare infine un’inutile versione di Never Let Me Down remixata e parzialmente ri-registrata