Il giardino di Lucha y Siesta, la casa di rifugio e autorganizzazione per donne che escono dalla violenza, si è popolato di tutti i corpi che può materialmente contenere, e molti altri ancora si sono riversati nel prato antistante. Una conferenza stampa gremita, promossa dalle donne che animano lo spazio, per lanciare una campagna di azionariato popolare che punta ad acquistare l’immobile sotto sgombero. La vicenda è tornata al centro del dibattito capitolino in seguito alla lettera giudiziaria recapitata alle occupanti dove si indica il 15 settembre come data del distaccamento della utenze e dello sfratto.
Gli ex uffici di proprietà Atac, in disuso da oltre trent’anni, dal 2008 sono stati occupati e trasformati in una dei poli di contrasto alla violenza di genere più innovativi di Roma. Atac dal 2018 per coprire le voragini finanziare accumulate in anni di mala gestione ha messo in vendita il patrimonio immobiliare, tra cui rientrano anche i locali della Casa delle donne. La mobilitazione in difesa di Lucha si espressa in maniera diffusa nei giorni scorsi, prima con un mail bombing alle caselle di posta elettronica istituzionali coinvolte nella gestione del caso, seguito dall’intasamento del numero di servizio di Atac con messaggi vocali in cui si pronunciava la frase «Quanto costa Lucha?». Ancora un collettivo di artisti ha messo in campo una performance urbana che è diventata virale, proiettando la scritta “vendesi” sui principali monumenti della capitale, «abbiamo pensato di venire in supporto dicendo in maniera forte e chiara che quello che offrite a Roma è un patrimonio incommensurabile di tutt*, tanto quanto il Pantheon o il tempio di Vesta» si legge nel comunicato che ha accompagnato l’azione.
Ma la difesa di questo storico centro di autonomia femminile è andata oltre, le attiviste hanno lanciato la campagna «Diamo Lucha alla città», costituendo un comitato pubblico per trattare con Atac un acquisto agevolato dell’immobile, con la garanzia finanziaria di Banca Etica. L’idea ha raccolto in poche ore migliaia di firme di adesione. Sono intervenute anche Marta Bonafoni, consigliera regionale da sempre schierata a difesa dell’esperienza di Lucha, e Lorenza Fruci, delegata alle politiche di genere della giunta Raggi, e unica esponente della maggioranza capitolina presente all’incontro.
Il suo intervento, accompagnato da qualche commento insofferente dalla platea, non ha dato rassicurazioni sul futuro del posto: «Ci stiamo adoperando per trovare delle soluzioni per le donne che vivono qui, purtroppo siamo sotto il diktat del tribunale liquidatore, ma il fatto che vi stiate costituendo in un comitato potrebbe aprire le porte del dialogo con l’amministrazione» ha detto la delegata.
«La nostra è un’esperienza cosi complessa da essere trattata come caso di studio nelle università, non si può pensare di risolverla con un’emergenziale intervento di ricollocazione, strappando donne e bambini dai loro percorsi di vita, è un luogo che in altre città sarebbe trattato come un fiore all’occhiello, chiediamo che la sindaca dica pubblicamente che all’asta per la svendita dei beni Atac Lucha avrà il diritto di prelazione, e alle istituzioni regionali, chiediamo fondi da investire in questo progetto» dicono le attiviste al microfono. La battaglia di Lucha va avanti e sta creando partecipazione e consenso, se gli equilibri politici del paese e della città sono realmente mutati si vedrà anche dall’esito di questa vicenda.