L’uccisione del generale iraniano Qassem Soleimani spariglia le carte afghane, mette a rischio il processo di pace tra Washington e i Talebani, ha già prodotto nuovi morti civili e costringe a piroette diplomatiche il governo di Kabul, diviso tra due spinte contrapposte. Da una parte un alleato strategico come gli Stati uniti, primo e principale finanziatore del governo e delle forze armate, che in Afghanistan dispone di basi militari e del più nutrito contingente di tutta l’area, tra i 12 e 13mila uomini. Dall’altro il vicino Iran, Paese con cui condivide solidi legami politici, culturali ed economici, oltre a un lungo e poroso confine. Curioso, dunque, che l’Afghanistan non sia comparso nelle analisi successive alla morte del responsabile delle forze al-Qods delle Guardie della rivoluzione.

Sul terreno afghano si gioca già da tempo parte del confronto belligerante tra Washington e Teheran, che non gradisce la presenza degli Usa a ridosso di casa. E si giocherà ancora di più nelle prossime settimane e mesi. La reazione degli esponenti politici afghani la dice lunga sulle preoccupazioni di Kabul. Il presidente Ashraf Ghani è stretto tra due fuochi: ha dimostrato tutta la sua subalternità all’omologo statunitense durante la visita a sorpresa di quest’ultimo nella base afghana di Bagram, a fine novembre 2019, quando ha lodato Donald Trump come grande stratega. Nei giorni scorsi ha però dovuto rassicurare anche il governo iraniano, ricordando che l’accordo di sicurezza bilaterale con gli Stati uniti – il primo atto della sua presidenza, nel settembre 2014 – esclude che il territorio afghano possa essere usato per colpire Paesi terzi. Eppure, riporta il New York Times, i generali americani hanno già ipotizzato di usare le basi afghane per colpire Teheran. Evitando di farlo, per ora.

Altri politici lanciano segnali opposti. Abdullah Abdullah, primo ministro e antagonista di Ghani nelle presidenziali del 28 settembre scorso, ancora senza risultati finali, si è fatto fotografare nell’ambasciata iraniana a Kabul mentre firma il libro in memoria di Soleimani. Il quale più di venti anni fa, nel 1998, appena nominato capo delle forze al-Qods, aiutava l’Alleanza del nord guidata dal comandante Masoud, di cui Abdullah era braccio destro, contro i Talebani che avevano conquistato la città di Mazar-e-Sharif. Da anni però i Talebani sono diventati interlocutori di Teheran, poprio grazie al lavoro delle Guardie della rivoluzione, tanto da aver aperto, e poi chiuso, una shura (cupola, consiglio) nella città iraniana di Mashad. Il rapporto, prima tenuto segreto, è poi diventato pubblico e in parte perfino rivendicato da Teheran, che vede nei Talebani interlocutori pragmatici e alleati funzionali a rompere le uova nel paniere americano.

Il segretario di Stato Mike Pompeo ha sostenuto che l’Iran sabota il processo di pace in Afghanistan. Non è così, non ancora: oggi non ne ha né la volontà né sufficiente forza contrattuale sugli studenti coranici, che hanno molti sponsor, vogliono l’accordo di pace e sono convinti ad andare avanti nella linea scelta dal leader Haibatullah Akhundzada. Con il negoziato, intendono mandar via le truppe Usa dall’Afghanistan. Così anche Teheran, che finanzia diversi politici afghani. Ma la fase politico-militare è nuova, difficile prevedere. Simili alle vecchie, le conseguenze sui civili. Nel distretto di Shindand, nella provincia occidentale di Herat, al confine con l’Iran, i droni americani avrebbero colpito mullah Nangyalai, figura di spicco del gruppo di mullah Rasul, scisso dai Talebani nel 2005 e che per Washington è finanziato da Teheran.

Potrebbe già essere cominciata, dunque, l’azione preventiva americana contro i Talebani ritenuti pro-iraniani, per impedirne la reazione in seguito alla morte di Soleimani. I media afghani riportano le dichiarazioni di diversi membri del Consiglio provinciale di Herat: insieme a Nangyalai e ai suoi uomini armati sarebbero stati uccisi circa 60 civili innocenti. Il ministero della Difesa afghano assicura che «farà chiarezza».

E ha capacità di penetrazione: l’uomo che ha preso il posto di Soleimani, il generale Esmail Ghaani, ha già visitato in passato la provincia a maggioranza hazara di Bamiyan. Facendosi passare per un diplomatico, si accorgono ora a Kabul.