Qualcosa si muove per il futuro del gruppo Lucchini e dell’intero comparto italiano dell’acciaio, che è il secondo del continente europeo. «La lotta – tira le somme Maurizio Landini, dopo il corteo di ieri a Roma – ha ottenuto due risultati». Il primo è la riapertura al ministero dello Sviluppo di un tavolo specifico per discutere del piano industriale per i quattro stabilimenti Lucchini di Piombino, Trieste, Lecco e Condove nel torinese. In parallelo, sempre in questo mese di maggio, sarà avviata una discussione complessiva sul settore siderurgico della penisola. Ce n’era enorme bisogno, arriva a tempo quasi scaduto. Non casualmente alla vigilia del piano che la Commissione europea sta elaborando, di fronte al calo di domanda degli ultimi anni, per la ripartizione dei volumi siderurgici fra i paesi produttori.

Per smuovere le acque è stata necessaria anche l’ennesima manifestazione operaia. Organizzata dai lavoratori della Lucchini, arrivati a Roma per denunciare che il loro caso specifico è sempre più delicato, visto che l’intero gruppo è in amministrazione straordinaria dall’inizio dell’anno. Un migliaio di operai sono partiti da Piombino e dagli altri stabilimenti del gruppo, sono arrivate delegazioni anche dall’Ilva di Taranto e Novi Ligure, e dalla Ast di Terni. Poi tutti in corteo, dietro lo striscione «Siderurgia sì! Sicurezza sì», da piazza dell’Esquilino fino a piazza Santissimi Apostoli. Mentre una delegazione unitaria metalmeccanica incontrava nell’ordine Laura Boldrini, il riconfermato sottosegretario Claudio De Vincenti che da tempo è impegnato sul caso Lucchini, e anche il neo ministro Flavio Zanonato. «È stata la prima volta – ha osservato il segretario della Fiom Landini – che un ministro dello Sviluppo si è presentato al tavolo di vertenze di questo tipo».

Dalla presidente di Montecitorio i manifestanti hanno avuto l’assicurazione, importante, che alla Camera ci sarà una corsia preferenziale per la rapida conversione in legge del recente decreto che ha inserito Piombino fra le aree di crisi industriale complessa (al pari di Taranto), con una possibile estensione del provvedimento anche al comprensorio di Trieste. In sostanza si tratta di un finanziamento pubblico di 150 milioni di euro per bonifiche e interventi infrastrutturali al porto e sulla rete viaria, essenziali per la sopravvivenza non solo di Lucchini ma anche degli altri stabilimenti piombinesi dell’acciaio Arcelor-Magona e Tenaris-Dalmine. Quanto all’incontro al Mise fra Fiom, Fim e Uilm e i rappresentanti del governo, allargato agli esponenti degli enti locali, l’annuncio del doppio tavolo di discussione è stato accolto con soddisfazione. «C’è bisogno di una politica nazionale – sottolinea l’assessore toscano Gianfranco Simoncini – costruendo sinergie e strategie. Inoltre di una presenza forte sui tavoli europei che a breve debbono definire i nuovi livelli produttivi, perché la siderurgia italiana deve essere salvaguardata».

Per Simoncini, che da tempo ha contattato anche il commissario europeo Antonio Tajani perché ben consapevole che la partita della siderurgia si gioca (soprattutto?) nell’Ue, i problemi non finiscono qui. I conti della Lucchini, nonostante il congelamento del debito di 650 milioni con l’amministrazione straordinaria, continuano a non tornare. Nei primi tre mesi dell’anno si sono persi circa 30 milioni. E il commissario Piero Nardi, il cui primo mandato scade a fine giugno, deve presentare al governo il suo programma di azione. Fra le varie opzioni non è tramontata – anzi – l’ipotesi di sostituire il ciclo integrale con un’acciaieria elettrica. Per mantenere l’area a caldo sono reputati necessari 160 milioni per il rifacimento dell’altoforno. Un investimento che allontanerebbe i i possibili acquirenti di Lucchini.

Ma lavoratori e sindacati insistono: «Siamo il secondo polo siderurgico italiano, il primo per i prodotti lunghi. Piuttosto serve un piano nazionale che coordini le strategie dei vari stabilimenti italiani, per mantenere e sviluppare le produzioni da altoforno».