Questione di ore. Non solo per capire il destino delle Acciaierie di Piombino. Soprattutto per chiarire definitivamente se il governo Renzi prende ordini da Federacciai, oppure conserva un briciolo di autonomia. Nella certezza, comunque vada, che l’unica “politica industriale” sulla siderurgia attuata da palazzo Chigi è quella di vendere gli stabilimenti che sta controllando direttamente – l’Ilva e appunto le Acciaierie – e lasciare che Thyssen Krupp finisca poco a poco di strangolare l’Ast di Terni. Una linea ribadita anche ieri, nelle parole e nei fatti, dalla ministra (conf)industriale Federica Guidi.

Questione di ore, prima che Piero Nardi, nominato nel dicembre 2012 dal governo Monti commissario di una ex Lucchini in amministrazione straordinaria, presenti al Comitato di sorveglianza del Mise la sua relazione sui possibili acquirenti delle Acciaierie. Che negli ultimi giorni sono diventati due, grazie all’ufficializzazione dell’offerta vincolante da parte di un gruppo industriale algerino, Cevital, entrato così in concorrenza diretta con gli indiani di Jsw Jindal.

Fermo restando che la gara resta sostanzialmente al ribasso, visto che nessuno dei due contendenti ha presentato un piano industriale comprensivo di un’area a caldo a ciclo continuo (o un altoforno oppure un impianto Corex), quanto reso noto fino ad oggi dai due potenziali acquirenti dovrebbe far pendere la bilancia verso l’Africa e non verso l’India. Per ben due volte infatti il Comitato di sorveglianza ha di fatto respinto le proposte di Sajjan Jindal, che vorrebbe assicurarsi le Acciaierie con un pugno di milioni di euro, e con una strategia di intervento tesa all’importazione pura e semplice di un un milione di tonnellate di acciaio indiano da laminare a Piombino, utilizzando per lo stoccaggio del materiale grezzo le aree retroportuali del gigantesco stabilimento.

Al progetto di Jsw Jindal, che cancellerebbe non meno di 1.500 addetti diretti degli attuali 2.200 lavoratori della ex Lucchini – e questo senza considerare l’indotto – Issad Rebrab di Cevital (15mila addetti, fatturato di 2,5 miliardi di euro), ha contrapposto un’offerta ben più “pesante”. In un incontro con il presidente toscano Enrico Rossi, Rebrab ha confermato 400 milioni di investimenti, di cui 120 nel 2015, con l’apertura di due forni elettrici e di un nuovo laminatoio (in aggiunta ai tre esistenti), per una capacità a regime di 2 milioni di tonnellate annue. E con l’obiettivo di reimpiegare in due, tre anni quasi tutti gli attuali addetti delle Acciaerie.

Nonostante l’arretramento della qualità produttiva – dai binari ferroviari si passerà alla lamiera e ai tondini per cemento armato – sia l’offerta economica che il progetto industriale e occupazionale di Cevital appaiono di gran lunga preferibili alle proposte fatte fin qui da Jsw Jindal. “Pensiamo che l’offerta debba essere seriamente presa in considerazione – osserva per tutti Maurizio Landini – a partire dalla possibilità di continuare a produrre acciaio, difendendo così i posti di lavoro. Per quello che conosciamo le proposte pervenute non sono equivalenti (Jindal, ndr), e deve prevalere quella che offre maggiori garanzie occupazionali e di investimento”.

Il problema, per il governo e per Renzi che aveva già incontrato Jindal, è che l’arrivo degli algerini, in un settore come quello delle produzioni da forno elettrico, ha trovato l’immediata opposizione di Federacciai, i cui principali aderenti monopolizzano il comparto. E che si sono allargati anche alle aree a caldo a ciclo continuo (gruppo Arvedi alle Ferriere di Servola), approfittando della chiusura dell’altoforno piombinese. Di qui il violentissimo attacco del presidente di Federacciai, Antonio Gozzi, che la scorsa settimana in un’intervista al Sole 24 Ore ha sparato alzo zero contro Cevital. Con un diktat che ha provocato la reazione perfino del viceministro Claudio De Vincenti. E a cui Issad Rebrab ha risposto, nel merito, punto per punto. A questo punto, c’è da aspettare solo la relazione del commissario Nardi, e la decisione del Consiglio di sorveglianza del Mise. Questione di ore.