La peggior notizia Mimmo Lucano la riceve a sera, alla vigilia della prima udienza. La corte che dovrà giudicarlo per abuso d’ufficio e favoreggiamento dell’immigrazione clandestina ha respinto l’istanza depositata dopo le elezioni comunali di Riace dai suoi legali. A rigor di logica (e del diritto) non faceva una piega. Visto che non è più sindaco (e neanche consigliere comunale) e considerato che non ci sono più migranti nel borgo di Riace, non dovrebbero più sussistere le esigenze cautelari, quali il pericolo di reiterazione di reato e di inquinamento probatorio.

Ebbene, malgrado l’evidenza e confermando il parere negativo del Pm, il tribunale di Locri invece ribadisce che Lucano non deve tornare a Riace. «C’è un procedimento pendente in corso» chiosano i giudici. Ormai, più che un divieto di dimora, si tratta di un confino. Il processo è politico e politicizzato e «alla sbarra c’è la solidarietà» si legge in uno dei cartelli che i manifestanti issano fuori dal Palazzo di Giustizia.

L’imputato eccellente arriva alle 8.45, il viso è tirato, provato da una notte insonne. «E’ come aver subìto una pena prima del processo» sussurra Lucano. «Non perdo la fiducia nella giustizia ma ho l’impressione che esistano due livelli di giustizia, uno per i colletti bianchi e le categorie ‘importanti’ e un’altra per chi non ha nulla come me». L’aula è stracolma, entrano tutti tranne gli attivisti a cui viene negato l’accesso per inesistenti «problemi di ordine pubblico».

La piazza è disseminata di camionette, l’area è stata bonificata sin da domenica. Nella fervida immaginazione dei funzionari del Viminale dovevano arrivare i barbari sulle rive dello Jonio anziché pacifici dimostranti. Ovviamente nulla di tutto ciò. Ci sono i sindacalisti di Usb, Cgil e Fiom, l’associazione Peppino Impastato di Cinisi, delegazioni arrivate da Crotone, Cosenza, Reggio: 300 persone, forse se ne aspettavano di più. Ma l’aria è di rassegnazione anche se la parola d’ordine del comitato 11 giugno che organizza il sit in è «resistenza con Mimmo e per Mimmo». Indossano tutti una maglietta rossa: Restiamo umani, c’è scritto. Era lo slogan di Vittorio Arrigoni da Gaza, e Mimmo Lucano l’ha fatto suo da quando la disumanità è diventata un marchio di governo e l’umanità è derubricata a delitto.

L’udienza, intanto, viene occupata da questioni procedurali: si discutono le eccezioni pregiudiziali e preliminari avanzate dalle difese. Il collegio, presieduto da Fulvio Accurso, si è riservato e il processo viene rinviato per la seconda udienza al 17 giugno.

Alle 13 Lucano esce dall’aula e in piazza intonano Bella Ciao. Gli danno un microfono e iniziano gli interventi. A partire dal suo: «Io non saprei vivere lontano dall’impegno sociale e la bella storia di Riace è iniziata ben prima che diventassi sindaco. Un’esperienza che può continuare portando avanti le idee che ne sono alla base. Viviamo un’emergenza umanitaria e faccio mie le parole di Bergoglio, quando si chiudono i porti per gli esseri umani e si lasciano aperti per il traffico di armi, si capisce che il mondo ormai è alla deriva».
Al microfono si alternano gli attivisti: Nino Quaranta, Sasà Albanese, Maurizio Zavaglia, l’ex sindaco comunista di Rosarno, Peppino Lavorato, Angelo Broccolo. Poi verso le 5 del pomeriggio il presidio si scioglie e i dimostranti tornano a casa. L’ultimo saluto, da lontano, è del sindaco di Locri, Giovanni Calabrese: «Manifestazione inutile, ha creato solo disagi», sentenzia. E’ un altro salito sul carro del Viminale, pronto, se potesse, a vietare persino il diritto a manifestare. Restiamo umani.