Visioni

Luca Saccoia, la scommessa di rendere un classico vivo

Luca Saccoia, la scommessa di rendere un classico vivoUn momento di Natale in casa Cupiello – Anna Carmelingo

IN SCENA Attore e regista, racconta il suo «Natale in casa Cupiello» coi pupazzi, al Piccolo Bellini di Napoli fino all'8 gennaio. Una interpretazione del testo di Eduardo che si mescola al vissuto personale

Pubblicato quasi 2 anni faEdizione del 27 dicembre 2022

Sette splendidi pupazzi e molto ardore per un solo attore. Al Piccolo Bellini di Napoli torna in scena il Natale in casa Cupiello «cum figuris» di Luca Saccoia (fino all’8 gennaio). Una versione sui generis, a metà tra istallazione artistica e un ardito, umanissimo «soliloquio corale» che l’attore partenopeo 47enne – i cui inizi scenici sono segnati anche da una lunga collaborazione con la compagnia di Luca De Filippo – porta su di sé per tre atti che disvelano le vicende di una delle famiglie più famose del teatro italiano.
Il progetto è frutto di una gestazione lunga, laboratoriale, «così come il testo che Eduardo definiva «un parto trigesimo in tre atti», dice Saccoia che ha co-ideato questa versione insieme a Lello Serao e Vincenzo Ambrosino. «Lui aveva iniziato a scrivere dal secondo atto. Nella nostra versione diamo molto peso a quella parte. Tommasino – che poi sono sempre io – rivive la vicenda della sua famiglia e cerca di mettere una toppa a una vita un po’ sbandata».
In scena con Saccoia, sette pupazzi a grandezza naturale costruiti da Tiziano Fario, scenografo, tra gli altri, di Carmelo Bene, manovrati dalla burattinaia Irene Vecchia, che per questo spettacolo ha formato tre giovani manovratori che l’affiancano dietro le quinte.

«L’ULTIMA cosa che ha fatto Eduardo è La Tempesta di Shakespeare, interpretando tutte le voci con le marionette dei Colla. Una versione memorabile. Seppur con modalità diverse, siamo partiti da lì. Avere dei pupazzi in scena fa venire fuori ancora di più il testo. A volte lo faccio apposta: scomparire in favore dei pupazzi. Cerco le ombre. Cupiello parte da una mancanza. Anche io sono partito dalla mia mancanza di famiglia. Cercare le persone, fare comunità, aprirsi al mondo e non chiudersi come Luca Cupiello che infine soccombe».

Trattasi di un testo sacro- cult. Farlo, soprattutto a Napoli, dove ognuno ha un suo rapporto personale e intoccabile con questo classico, ha i suoi rischi. «Ogni volta c’è qualcosa che sbaglio, una vocale una virgola, una parola che è attaccata a me, o meglio, alla memoria antica del ragazzino che vedeva quella commedia che mi porto dentro, come la maggior parte delle persone. Ho studiato a lungo. Provo ogni giorno, come uno strumentista, da due anni. Eduardo per me è come Shakespeare, Molière, o uno che ancora deve nascere. Ho cercato – altrimenti questa cosa non la puoi fare – di mettermi nella sua testa. Lui ci ha insegnato che la tradizione è un trampolino di lancio. Ci sono altissimi «tradimenti» ma per farli devi conoscere la partitura originale, altrimenti avrai seri problemi. Questo si vede soprattutto nel pubblico dei giovanissimi. Per loro Eduardo non è quel “macigno” che può rappresentare per un quarantenne o un sessantenne. Ci sono ragazze e ragazzi che arrivano in teatro “vergini” e si rapportano al testo come se fosse scritto da un drammaturgo contemporaneo. Il teatro è vivo, si rigenera con le nuove generazioni. Eduardo ci insegna anche questo».

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