Dopo una fedeltà più che decennale alla forma breve (tra i titoli già pubblicati, L’amore e altre forme d’odio, La persecuzione del rigorista e, lo scorso anno, il fortunato I difetti fondamentali), Luca Ricci (classe 1974, pisano di nascita e romano d’adozione) esordisce ora nel romanzo con Gli autunnali (La nave di Teseo, pp. 209, € 17,00). Protagonista anonimo, come spesso càpita, appunto, nei racconti, uno scrittore prossimo al giro di boa di una vita a suo modo organizzata ma non del tutto realizzata; a fargli da contorno, la moglie, familiare quanto e più di un consanguineo, e l’amico, nonché collega (nella scrittura, certo, ma soprattutto nella vocazione al fallimento), Gittani. Sullo sfondo, una Roma stretta nelle morse di un autunno estenuato e tiepido che non aspetta che di precipitare, senza soluzione di continuità, nell’estate: ormai, le uniche stagioni a scandire il tempo di una città venata «di quei rossi, quei gialli, quei marroni, quegli arancioni, che sono la vera primavera dei temperamenti inquieti». In filigrana, poi, dedicatario del testo e firmatario degli esergo che scandiscono i cinque capitoli del romanzo, Guy de Maupassant, per Ricci qualcosa di più che un nume tutelare: un modello e, verrebbe da dire, un fratello maggiore con cui misurarsi e sull’esempio del quale provare la tenuta e la resistenza di idee e attitudini artistiche che vanno oltre la mera contingenza.
Restando al testo, le citazioni provengono tutte da un racconto, «La chioma», che di questo romanzo è il calco originario allo stesso modo in cui la novella «Gradiva», di Jensen, è il negativo della sceneggiatura di C’est Gradiva qui vous appelle, ultimo lungometraggio di Alain Robbe-Grillet. E così come in quest’ultimo uno studioso di Delacroix si invaghisce del fantasma di una donna misteriosa proprio come fa in Jensen l’archeologo che cade vittima di deliquio amoroso di fronte a un antico bassorilievo che raffigura una figura femminile còlta nell’atto di camminare (il dettaglio feticistico è centrale) o come fa in Maupassant un uomo davanti a una ciocca di capelli di donna, l’esistenza del protagonista de Gli autunnali precipita quando questi rinviene in un vecchio libro un ritratto fotografico di Jeanne Hébuterne, la pittrice francese che, già al nono mese di gravidanza, si tolse la vita il giorno dopo la morte del suo amante, Amedeo Modigliani.
Specchiandosi nelle sfumature virate di quest’istantanea, il personaggio di Ricci si abbandona a una spirale tragicomica e violenta che lo conduce dalla coscienza censoria dell’uomo disincantato all’incapacità conclamata di distinguere tra veglia dei sensi e sonno della ragione, realtà e immaginazione: la presenza di un gatto tra le coltri del letto, mentre fa rabbiosamente l’amore con la moglie, diventa così la presenza di una Jeanne rediviva, che con il suo piede (di nuovo il particolare feticistico) preme contro quello dei coniugi (i quali non sono, sin da subito, che un’unica inscindibile creatura, un terzo genere, un terzo sesso tra quello maschile e quello femminile); e, ancora, il volto di una giovane donna incinta, Gemma, problematica e opportunista come il suo fidanzato (un pittore!), si trasfigura in quello della rediviva artista che non poté sopportare di sopravvivere all’uomo che così tanto aveva amato. Intanto, i mesi scorrono – settembre, ottobre, novembre, dicembre – sempre uguali a se stessi ma ogni volta, come il tempo, più vecchi di un anno, mentre anche le dinamiche di chi li attraversa si ripetono, ma non più secondo un copione prestabilito. Le forze in campo si rovesciano e sfumano i confini relazionali: nell’equilibrio sovraordinato che sembra governare i rapporti tra gli esseri umani, il carnefice è davvero il carnefice e la vittima è davvero la vittima? Quante volte e rispondendo a quale logica si scambiano i ruoli? E, infine, davvero la passione amorosa è solo e soltanto la proiezione di un desiderio inconscio, inconfessato e immorale? Ma poi: è legittima una moralità nella febbre emotiva?
Forte della sua esperienza di novelliere, Ricci chiude i capitoli del suo primo, incandescente romanzo né più né meno che se fossero racconti, replicando a più riprese la forma circolare che comunemente si oppone a quella lineare del genere maggiore; così facendo, allestisce risposte possibili che sono anche l’illusione (o forse la verità intima) cui si aggrappa, con furia cieca, il protagonista di questa vertiginosa discesa agli inferi; protagonista autunnale come tutti lo siamo, esattamente come siamo stati indifferenti prima e sfiorati poi; autunnali «nel senso che ci piace una certa decadenza, che siamo e saremo sempre fin de siècle, che le nostre madeleine preferite sono gli articoli di cancelleria, tipo astucci o diari o quaderni, e ci abbuffiamo di olive come fossero ciliegie».