Luca Rastello, un gradino fuori dalla storia
Scaffale «Dopodomani non ci sarà», per Chiarelettere: il libro postumo del giornalista e scrittore che s'interroga sulla vita e sulla resistenza al male
Scaffale «Dopodomani non ci sarà», per Chiarelettere: il libro postumo del giornalista e scrittore che s'interroga sulla vita e sulla resistenza al male
Attraversavamo a piedi con Luca Rastello il confine di Agarak/Norduz, fra Iran e Armenia, puntando su Stepanakert, capitale del Nagorno Karabak. Un soldato russo scarmigliato, ritto sulla frontiera ex sovietica, pretese le mie sigarette, e ci dicemmo che forse questo ci avrebbe consentito di passare rapidamente, camminando inosservati attraverso la lunga fila di camion in attesa. Il giorno prima eravamo sgusciati via, dopo essere stati fermati dai Guardiani della Rivoluzione, che si domandavano cosa ci facessimo a piedi vicino al confine turco: il grasso comandante Pasdaran sollevò lo sguardo, ci squadrò e ci allontanò con un gesto insofferente, come si fa con le mosche.
ORA PERÒ LA GUARDIA di frontiera armena indugiava sul passaporto di Luca, che era vagamente consumato. Iniziò a mettere in dubbio l’autenticità della foto, sollevava problemi e in breve capimmo che le cose sarebbero andate per le lunghe. Di lui ricordo come iniziò a lavorarsi la guardia, la capacità, al primo sguardo, di cogliere il tratto dell’interlocutore, di non aspettarsi né più né meno di quello che lo portava a porre il problema: farlo parlare di tutto, armeggiando con un dizionario inventato.
Era il tempo del doganiere contro il nostro, era una curvatura temporale nella quale con quattro gesti si stabiliva un riconoscimento. Poco dopo nel saluto obliquo sfuggivamo alla stupidità del potere delle routine burocratiche di confine.
LUCA RASTELLO avrebbe compiuto gli anni proprio ieri, non fosse stato che il 6 luglio di tre anni fa non ha più potuto trattenersi con noi, dopo aver chiamato gli amici per avvertirli che il tempo rimasto era poco, e si sarebbe ritirato per l’estate alla casa di montagna a scrivere. Scrittore e giornalista, si dice in questi casi, ma la sua curiosità intellettuale onnivora ogni volta sfuggiva il confine della definizione, portandolo a dirigere riviste (Narcomafie, L’Indice, Osservatorio Balcani e Caucaso), ad addentrarsi in sceneggiature, a occuparsi di matematica, a coprire i fronti di guerra. Dell’ultimo romanzo, appena abbozzato, restano materiali dispersi, segnati dall’incalzare della malattia: diversi file disomogenei raccolti in una cartella denominata «Progetto Grande Ospedale».
QUESTI FRAMMENTI e altri scritti escono oggi in forma di un libro (Dopodomani non ci sarà. Sull’esperienza delle cose ultime, Chiarelettere, euro 16,90) sviluppando una nuova trama, ricca di critica sociale e politica feroce. Fra i molti temi su cui l’autore si è soffermato nei lavori precedenti – La guerra in casa, Io sono il mercato, Piove all’insù, Binario morto, I buoni – il tema della resistenza al male e al potere attraverso la dilazione, l’inganno e lo sfuggire. Ma anche Antigone e la legalità, il patto con la memoria e la morte, e un viaggio transcaucasico straordinario sulle tracce di Mandel’stam.
Come dice nell’introduzione la moglie, Monica Bardi, Dopodomani non ci sarà è scritto mentre gli eventi precipitano. Luca si pone un gradino fuori dalla storia, nel solo punto di osservazione da cui la si vede, dalla quale la si può addirittura criticare. O comunque la si può affrontare, anziché subire. La vita ne emerge come insieme delle forze che resistono all’amorfo che minaccia la nostra esistenza. Ogni vita – scrive Luca – è un eterno assedio a qualcosa che se ne sta in un centro lontano, pieno di senso – proprio dove la conquista del senso presuppone la fine. E dunque il ritorno – circostanza omerica piena di senso – non potrà che esistere come la più alta delle fantasie degli umani. Nel grande ospedale il Malato Riottoso, il lungodegente, vive i cambi turno, il rapporto con i medici e i pazienti, i tempi della noia e dell’attesa. Raccoglie l’impaccio surreale della comunicazione con medici e conoscenti. «Quando avremo il potere noi – annota – ci saranno pene severissime per quelli che fanno domande con gli sms» («Sì, ma cosa dicono i medici?»). Facendosi carico dell’apparente impossibilità di pensiero della morte, della quale oggi sembrerebbe che «non c’è niente da dire se non che non c’è nulla da dire», e tenendo invece il timone verso il passaggio ultimo, senza alcuna rimozione il Malato Riottoso dialoga con i propri organi e ci mostra come mistero si riveli negli intervalli. Con una prova di coraggio in extremis, Luca Rastello scriverà nell’ultima lettera alle figlie che «si può fare».
UN LIBRO di attraversamento e viaggi che impastano la narrazione, inclusa la figura di Madame Problema – espressione coniata una notte da un ruvido taxista di Tbilisi che la cucì addosso alla compagna di viaggio che s’impuntava «per principio» su qualche spicciolo in meno per la corsa. Monsieur Problema è il doganiere armeno che alza il sopracciglio davanti al passaporto malconcio di Luca. Trasfigurata, Madame Problema è la compagna di viaggio di sempre, quella che chiede di essere ingannata e non corteggiata – il suo tempo contro il tuo: la morte. Un’incursione esistenziale sulle cose penultime e su quelle ultime, la trasgressione dei confini che lo sguardo di Luca Rastello sin dalla copertina continua a insegnarci, sfuggendo con pazienza, captando il personaggio che ha davanti, dilatando il tempo oltre se stesso.
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