La aggraziata leggerezza di un avversario del pessimismo hobbesiano, non perciò votato alla fede pregiudiziale nelle virtù del genere umano, accompagna la descrizione di passaggi anche drammatici in Zero virgola Io (Viella, pp. 58, euro 10,00), dove l’Io è Luca Pietromarchi, colpito dal Covid e perciò finito nel reparto di terapia intensiva del Policlinico Umberto I di Roma. Un giorno, la parola «positivo» cade, con nonchalance, a spezzare la routine dei controlli sistematici cui l’autore deve sottoporsi: l’informazione non sembra riconducibile a qualcosa di preoccupante, nessun sintomo si manifesta e l’Io si ritiene inattaccabile per una lunga, illusoria settimana.

Poi, ormai inaspettata, quando ogni pericolo sembrava scongiurato, la febbre comincia a salire: lo zero prepara la sua vendetta sull’Io che, tanto per cambiare e come Freud insegna, non è padrone in casa propria. Quanto alla virgola, tenta invano di opporre resistenza: «cercate nella punteggiatura», aveva scritto Cechov, «lì si nasconde la vita».
L’Io ha dunque varcato la soglia dello zero, ha oltrepassato la virgola e ora scivola veloce, benché in barella, lungo i corridoi delle gallerie sotterranee, che collegano i diversi reparti del Policlinico: al suo fianco l’addetto alla sanificazione con tanto di campanello e annaffiatore, corredo inquietante di un corteo sanitario il cui approdo è un luogo dove «si guarisce o si muore».

Io ci rimane otto giorni e dal suo letto scrive con il telefonino quelle che chiama le sue «prose semi-oniriche», precipitazioni sulla pagina di pensieri intonati alla terapia intensiva, poi portati a termine nella stanza dove si consuma il suo isolamento; più o meno inattuali, più o meno pertinenti a quanto va accadendo, queste considerazioni sono comunque accordate alla lodevole inclinazione dell’Io protagonista a valorizzare le qualità di coloro che si adoperano intorno al suo letto: di tutti viene fatto il nome e il cognome, a saldare – almeno così – quel debito di gratitudine che è fra le motivazioni di questo piccolo resoconto dal fronte dell’ultima chance.

All’alba di ogni giorno, l’Io invia ai suoi familiari appunti che testimoniano la propria resistenza senza resa, sempre effervescenti di ironia, con un occhio all’esempio dei suoi eroi letterari e l’altro alle strumentazioni che certificano la saturazione dell’ossigeno. Lo zero del titolo, quello protervamente eretto contro l’Io, si è ritirato soddisfatto, il suo compito era certificare il non, uno stato di potenza in quanto tale irrealizzato; ma dalla modalità del possibile a quella del reale il tratto è breve, e queste pagine portano notizie di quel passaggio: dallo zero al «per esempio me».