Spiega Luca Mercalli che la linea ferroviaria ad alta velocità tra Torino e Lione è «un’opera anacronistica, fuori tempo, e che dal punto di vista ambientale rischia di essere una cura peggiore del male». Meteorologo, divulgatore scientifico e climatologo, Mercalli – che vive in Valsusa – è tra i primi firmatari dell’appello «Tav, no grazie».

Scrivete che «il progetto sottostante al Tav Torino-Lione è parte della crisi, non la sua soluzione». Quale crisi, e che cosa intendete dire?
La scelta di realizzare il treno ad alta velocità è figlia di un modello di espansionismo economico ed infrastrutturale, tipico ancora degli anni Novanta del Novecento, che da tempo le scienze ecologiche, quelle di cui mi occupo, e che studiano il cambiamento climatico e la crisi ambientale, hanno rifiutato. Ci dicono infatti che dobbiamo rallentare in tutto, a partire dall’uso delle materie prime, aumentando la riciclabilità e valorizzando l’economia circolare, e questo lo dice perfino l’Europa, in apparente contrasto con se stessa, perché da un lato vorrebbe salvaguardare le materie prime, dall’altra promuove la realizzazione di infrastrutture volte a trasportare più cose, giustificandolo con la considerazione che sia un trasporto più pulito. Oggi dobbiamo percorrere una strada di sostenibilità ambientale, che non può essere espansionistica, ma quanto meno stazionaria: questa è l’unica economia compatibile con i limiti del Pianeta, ed io non mi aspetto che la appoggi anche Confindustria, perché il tipo di sviluppo proposto, da ultimo all’incontro «Sì Tav» di Torino, è quello che va a generare nuovi problemi ambientali. Credo che sia compito della politica guidare questo processo di transizione, per orientare verso una direzione del bene collettivo che il mercato da solo non può prendere. Questo è in fondo il messaggio dell’enciclica Laudato si’ di Papa Francesco. Per salvaguardare l’ambiente, spiega, dobbiamo passare da un’economia di crescita a una di sufficienza. Dobbiamo garantire dignità e risposta ai diritti fondamentali di ognuno, ma non si può proseguire sulla strada del “di più” e “sempre di più”, secondo la logica Tav.

È (anche) una questione di stili di vita e modelli di consumo?
Il “buco” non è neutro. Dobbiamo porci una domanda: che cosa trasportiamo? Nel 2018 dovremmo imporci una riflessione sulle merci, per rispondere profondamente alla domanda «il Tav è sostenibile?». Anche ammesso che si debba spostare il traffico da gomma a rotaia, qual è il costo energetico della costruzione del tunnel? Io considero certo l’inquinamento, in termini di emissioni, ma incerto il recupero di CO2 equivalente. La certezza sono dieci anni di cantieri, la talpa, le cave: per questo periodo peggioriamo il clima di sicuro. Dopo ci vorrà un tempo, mettiamo siano ancora dieci anni, per compensare quelle emissioni, grazie al risparmio garantito dal trasporto su ferro. Questo significa che con probabilità il primo grammo di CO2 non emesso, in termini netti, lo vedremo tra vent’anni. Ci sono due ordini di problemi: come sarà il mondo tra vent’anni, è il primo. Il secondo aspetto invece è che le Nazioni Unite ci dicono che non c’è più tempo, non possiamo aspettare vent’anni, meno che meno se oggi emettiamo con una prospettiva di recupero incerta, perché legata al futuro flusso di merci lungo la linea. Di fronte alla scarsità di risorse pubbliche, mi chiedo, quindi, se non sia più opportuno usarle per progetti che risparmino emissioni a partire da domani. Ad esempio, nei progetti per la riqualificazione energetica degli edifici. Se metto i doppi vetri, infatti, il risparmio è immediato, come il miglioramento ambientale. Immediato, oltre che misurabile e certo. Sono, tra l’altro, interventi che generano lavoro. Perché Confindustria non scende in piazza per questo? La crisi ambientale è il mostro più grande che abbiamo davanti, ci dice il segretario delle Nazioni Unite. E di questo dovremmo occuparci.

Che cos’è cambiato dall’8 dicembre 2005, quando i No Tav «riprendono» Venaus?
Sono passati tredici anni ma non è cambiato nulla. Parliamo due linguaggi diversi: il «Sì» con slogan e promesse di un futuro radioso di progresso, come se tutto quello che succede in Piemonte passi per quel futuro buco. Se davvero fosse così, poiché di Tav parliamo dal 1991, tu oggi dovresti avere una regione non più competitiva, noi piemontesi dovremmo essere allo stremo, a Torino ci sarebbe la gente affamata, perché i supermercati sarebbero vuoti a causa di un tappo che blocca le merci. Eppure, la vita è andata avanti, le aziende lavorano, alcune sono floride, esportano. Non siamo tagliati fuori, altrimenti i satelliti di Alenia come potrebbero raggiungere lo spazio? Eppure, a fine 2018, siamo di fronte a un paradosso: le madamine avrebbero detto che quel treno non è importante solo per le merce, ma anche per le idee. Resto così fiducioso in attesa di una cassetta di idee che arrivino a Torino dalla Francia, in treno. Siamo giunti a questo paradosso.

Un’idea, però, Mercalli ce l’ha, dato che viaggia spesso a Parigi con il Tgv, dalla stazione periferica di Oulx, in Valsusa.
Per risparmiare un’ora tra Milano e Parigi una ricetta facile facile c’è: permettere ai treni francesi di usare la linea ad alta velocità tra Torino e il capoluogo lombardo. Basterebbe una firma, nessun tunnel di 57 chilometri, che sarà pronto al più tra vent’anni.