Che l’inglese sia di gran lunga la lingua dalla quale si traducono più libri – quasi quattro volte il numero di titoli «importati» ogni anno dal francese, secondo in classifica – è un fatto a suffragio della prima impressione che si può trarre dal più superficiale degli sguardi allo scaffale delle ultime novità. La gran parte di questi titoli è statunitense, una evidenza ben riflessa nell’operazione critica che Luca Briasco ha tenacemente perseguito negli anni sulle colonne di Alias (ma non solo), i cui frutti vengono raccolti in Americana, ora alla seconda edizione integrata (minimum fax, pp. 486, € 20,00), che ribadisce e rimpolpa un catalogo ideale dei principali autori e titoli statunitensi degli ultimi decenni, tradotti in italiano, in sessanta schede-recensioni.

A quattro anni dalla precedente, la nuova edizione si confronta con opere anche recentissime come Ohio di Stephen Markley, inserito da Briasco in un capitolo finale dall’ambiguo titolo «Un nuovo canone?», che accosta opere di valore disomogeneo. Vi si trovano per esempio il modesto Jonathan Safran Foer con il ben più significativo Colson Whitehead, accanto alla sorprendente Hanya Yanagihara, il cui romanzo-mondo Una vita come tante è stato accolto negli Stati Uniti con commenti contrastanti. Dall’ormai «classico» Le correzioni di Jonathan Franzen si passa nello stesso capitolo a Asimmetria di Lisa Halliday, opera prima dal valore discutibile che – come nota lo stesso Briasco – ha tratto la sua fama soprattutto da ragioni extra-letterarie legate al racconto autobiografico della relazione intrattenuta dall’autrice con Philip Roth.

La natura dichiaratamente dipendente dai personali gusti di lettura che confluiscono in Americana contribuisce a dare freschezza a una raccolta che, lungi dal ripiegarsi in una elencazione pedissequa, riesce piuttosto a disegnare una vera e propria mappa – scheda dopo scheda – nella quale il lettore può muoversi con autonomia. Molto fertile da un punto di vista dell’analisi critica è il procedimento per il quale ogni autore viene di volta in volta inserito in un contesto più ampio, geografico, generazionale e letterario, evidenziando filiazioni e prese di distanza nell’ambito della letteratura americana del secolo scorso.

Nella nuova edizione trovano posto tra gli altri Larry McMurtry e i suoi western recentemente pubblicati da Einaudi, incontro fortunato tra qualità letteraria e «gusto popolare»; e, ancora, Denis Johnson e i suoi racconti della marginalità in La generosità della sirena, Mark Danielewski con Casa di foglie, e Paul Beatty con Lo schiavista (gli ultimi due inseriti nel capitolo «L’avanguardia o quel che ne rimane»).

Nell’annettere al suo personale canone La ferrovia sotterranea di Colson Whitehead, Briasco evidenzia le differenze notevoli tra i successi degli ultimi anni (due premi Pulitzer consecutivi), frutto di idee brillanti declinate tuttavia in racconti piuttosto convenzionali, e le prime opere dello scrittore afroamericano, meno evocative ma più sperimentali e innovative, mostrando una volta di più come le sue letture contraggano debiti fruttuosi con la sua notevolissima esperienza, ciò che gli evita di intonarsi al senso comune, spesso derivato dalle tardive scoperte italiane di autori già celebrati nel loro paese di origine.

Tra gli spunti di interesse contenuti in Americana, il prezioso scritto introduttivo, già presente nella prima edizione, che muove dalle definizioni contrapposte di Status Author e Contract Author proposte da Jonathan Franzen in «Mr. Difficult», saggio pubblicato sul New Yorker nel 2002, per arrivare a una suggestiva associazione – quasi un ambiguo entanglement – tra lo stesso Franzen e il suo grande amico scomparso, David Foster Wallace, alla ricerca di una sintesi tra eredità postmoderna e un nuovo «patto con il lettore».