Stasera i comizi più grandi, domani le tradizionali manifestazioni finali ciascuno nel proprio collegio: il silenzio elettorale vale solo domenica. I partiti e i rispettivi leader sono allo sprint finale di una contesa riaccesasi all’ultimo, ma il vento che spinge la Germania verso la grosse Koalition soffia sempre più forte. Dalla somma di democristiani e Fdp, infatti, non risulterebbe una maggioranza parlamentare.
L’ultimo segnale viene da un sondaggio diffuso ieri dall’istituto Insa: per la prima volta si pronostica l’ingresso dei populisti anti-euro di Alternative für Deutschland (AfD) in parlamento. La nuova forza politica riuscirebbe a raggiungere il 5%, passando indenne la soglia di sbarramento: a farne le spese sarebbe la Cdu-Csu di Angela Merkel (data al 38%), alla quale l’AfD rosicchierebbe un paio di punti rispetto ai valori attestati sino ai giorni scorsi, e i liberali (Fdp), che con il 6% dei consensi comunque riuscirebbero a entrare anche loro nel prossimo Bundestag.
Ancor più lontana da quell’obbiettivo, come è chiaro ormai da settimane, l’alleanza fra socialdemocratici (Spd) e Verdi, che resterebbe al di sotto dei voti ottenuti dalla Cdu-Csu da sola. Alla Linke è attribuito il 9%, che significherebbe un rafforzamento dei due co-segretari Katja Kipping e Bernd Riexinger e un’ottima base per il consolidamento dell’organizzazione, nei prossimi anni, nei Länder dell’ovest.
Da indiscrezioni stampa trapela che nella Spd già si starebbe discutendo della strategia da seguire nelle trattative con Merkel per la formazione del prossimo governo. La corrente di sinistra del partito sembra spinga perché gli iscritti si esprimano sulla «grande coalizione», ma è difficile che ciò possa accadere. Più probabilmente sarà convocato un rapido congresso ad hoc a ratificare la decisione presa dai vertici: una platea di delegati dalla quale Peer Steinbrück e compagni non debbano attendersi fastidiose sorprese, e che offra la possibilità di mettere in scena un’«assunzione di responsabilità» collettiva.
Le ultime battute della campagna elettorale sono tuttavia vissute come se dalle urne di domenica davvero potesse uscire qualunque verdetto. In fondo, è naturale che sia così: in Germania ciascuna forza politica compete innanzitutto per se stessa, al di là delle intenzioni dichiarate prima del voto sulle coalizioni future. Per la Spd, ad esempio, ogni punto di distanza in meno che la separa dalla Cdu-Csu significa, nel caso di grosse Koalition, aumentare il proprio peso nel governo. I democristiani lo sanno, e per questo motivo non hanno nessun particolare interesse a «prestare» voti agli (ancora per quanto?) alleati della Fdp.
Il messaggio dei partiti si concentra quindi sui temi ritenuti strategici per conquistare gli ultimi indecisi. Per la Spd: salario minimo per legge di 8,5 euro orari, abbassamento dell’età pensionabile a 63 anni per chi ha 45 anni di contributi, nuovi asili nido, diritto alla doppia cittadinanza per i figli di stranieri nati in Germania, aumento dell’aliquota massima dell’imposta sui redditi. Ai socialdemocratici non sembra vero di essere usciti indenni – a quanto sembra – dalle polemiche scatenate dalla famigerata foto del loro candidato cancelliere che mostrava il dito medio dalla copertina del supplemento della Süddeutsche Zeitung.
Tocca ora ai Verdi essere nell’occhio del ciclone, a causa delle rivelazioni sulle posizioni difese dal movimento, più di trent’anni fa, riguardo alla pedofilia. Un tema sul quale c’è molta sensibilità in Germania, soprattutto dopo lo scandalo degli abusi sui minori che ha coinvolto numerosi internati religiosi. Ora la stampa conservatrice ha un’occasione ghiotta per scatenare un Kulturkampf contro tutto il movimento alternativo e libertario tedesco, nel tentativo nemmeno troppo celato di fare pari e patta: «Non solo i preti, ma anche voi sessantottini avete maltrattato i bambini».
In particolare, gli strali si dirigono sul capolista verde Jürgen Trittin, reo di avere apposto – ai sensi di legge – la propria firma in calce al programma dei Grünen di Gottinga del 1981, in cui si chiedeva la legalizzazione dei rapporti sessuali con i bambini. Per quanto a noi – e ai tedeschi di oggi – possa sembrare incredibile (e ovviamente disgustoso), quelle istanze circolavano nei milieu dell’estrema sinistra della Repubblica federale, spesso confuse all’interno della più generale battaglia per la liberazione sessuale e l’emancipazione dei gay: perdendo di vista il contesto, si può fare della facile polemica bigotta, ma non si capisce quasi nulla.
Trittin ha riconosciuto l’errore e si è scusato, ma è probabile che i Grünen pagheranno ulteriore dazio nell’urna anche per questa vicenda: l’elettorato borghese che negli ultimi anni si era avvicinato a loro soprattutto in Länder ricchi e conservatori come il Baden-Württemberg, si stava già allontanando a causa delle loro proposte economiche «troppo a sinistra». Per invertire il trend negativo, i Verdi reagiscono ponendo l’accento non più sull’aumento delle tasse ai ricchi, ma su energie rinnovabili, fine degli allevamenti intesivi di animali, sostegno all’agricoltura biologica, rafforzamento del sistema sanitario pubblico, divieto dell’export di armi ai dittatori. Per la Linke, invece, il finale di campagna elettorale è più tranquillo: tutto è filato liscio, senza cambiamenti di linea, gaffe, o scandali che emergono dal passato.