Crolla tutto: le case, i palazzi, le chiese, le strade, i nervi. La mattinata di ieri, come sempre da qualche giorno a questa parte, si è aperta con una scossa rilevante (4.8 gradi), e dunque nuove crepe che si aprono, nuovi calcinacci in strada, nuovi crolli. Le Marche in ginocchio non riescono a rialzarsi, come si fa a ricominciare se lo sciame sismico non finisce mai? Domina la paura e anche chi proprio non voleva allontanarsi dal proprio paese comincia a tentennare: restare sulla Valnerina è un incubo, gli edifici scricchiolano, la vita non c’è più.

A San Severino Marche gli abitanti censiti sono 12mila, quasi tutti stanno dormendo fuori di casa. Il panorama è un insieme di case squarciate, strade invase dalle pietre, e la polvere che ha dato un colore sbiadito a tutto il territorio colpito dal terremoto.

«La città sta cadendo ma nessuno interviene – dice la sindaca Rosa Piermattei -, è inutile che le istituzioni chiamino per sapere com’è la situazione, devono fare qualcosa alla svelta». Segue l’elenco di tutto quello che manca: «Abbiamo bisogno di vigili del fuoco, protezione civile, qualcuno che coordini. Abbiamo cinquantaquattro frazioni, quartieri a terra, persone che ci chiedono aiuto ma noi non siamo in grado di intervenire. I volontari sono nel caos, servono aiuti immediatamente».

La metà delle case è inagibile, l’altra metà presenta comunque crepe abbastanza preoccupanti. Le ordinanze di sgombero si contano nell’ordine delle centinaia e Piermattei invita tutti i suoi concittadini a utilizzare gli alberghi e le varie strutture ricettive a disposizione come sistemazione provvisoria. «Ci stiamo adoperando perché queste siano il più vicino possibile alle strutture danneggiate – prosegue la sindaca -, è chiaro che la cittadinanza dovrà sopportare dei disagi in questo periodo d’emergenza. Abbiamo già fatto appello a tutte le istituzioni perché, nel più breve tempo possibile, sia trovata una sistemazione alternativa che non sia provvisoria».

Il sindaco di Castelsantangelo sul Nera Mauro Falcucci è l’amministratore di un paese fantasma: «L’ultima famiglia che aveva la casa agibile e l’ultimi albergatore si sono convinti ad andare via. Restano cinque allevatori, che non possono allontanarsi dal bestiame». Questione già emersa nei giorni scorsi: qualcuno ancora preferisce dormire in roulotte o nei container per non abbandonare i propri animali. «Servono con urgenza tensostrutture per le stalle e un container per il municipio», conclude Falcucci nel tentativo di dare un ordine alle idee in questi giorni confusi.

Impossibile, per il resto, fare un conto degli sfollati, d’altra parte non si sa con certezza nemmeno quante siano le abitazioni inagibili: i controlli sono in corso e ad ogni scossa c’è sempre qualcosa di nuovo da controllare. La stima offerta dalla protezione civile parla di 25mila persone nelle sole Marche, di questi almeno 20mila sarebbero in provincia di Macerata, in cui i comuni colpiti dal sisma sono una ventina. Gli alberghi della costa sono ormai quasi tutti al completo, ma anche sull’Adriatico le scosse si sentono fortissime quando arrivano e il terrore è quasi lo stesso che in montagna. Per questo le palestre e i palazzetti vengono aperti e imbottiti di brandine. Ad Ascoli Piceno, addirittura, il Comune è arrivato a mettere servizi igienici e cucine da campo negli spiazzi dove la gente va a dormire in macchina, chi può arriva in camper. A Macerata ampi tratti della città sono stati transennati a causa della caduta di alcuni calcinacci. Alla stazione di Fabriano, in provincia di Ancona, sul binario uno c’è un treno fermo: cinque vetture per trecento cuccette. Ferrovie dello Stato l’ha messo a sisposizione per ospitare gli sfollati. C’è la luce, c’è il riscaldamento, i bagni funzionano. Dicono che quando la terra trema sembra quasi che il convoglio sia in partenza.

Le scuole restano chiuse, con sopralluoghi pressoché quotidiani a verificare di volta in volta – di scossa in scossa – che non si siano aperte crepe troppo minacciose.

La notte le temperature scendono pericolosmente vicino agli zero gradi, per questo la soluzione delle tende non viene nemmeno presa in considerazione: la sensazione di precarietà è l’aspetto più doloroso dietro alle scosse in sé e per sé. Nessuno ha idea di quello che sarà domani, per ora si lavora soltanto a portare via le persone dalle zone nei pressi dell’epicentro. E allora, complice il beltempo, durante il giorno si passeggia e ci si vede sui lungomare delle città costiere. Perché, almeno per adesso, resta solo questo: incontrarsi e riconoscersi a decine di chilometri da casa. Non era scontato.