La buona notizia è che Loujain Al Hathloul sarà scarcerata nel giro di due-tre mesi, forse già a marzo, grazie alla sospensione della pena decisa dai giudici. La brutta è che comunque l’attivista saudita per i diritti delle donne è stata condannata a cinque anni e otto mesi di prigione – per cinque anni non potrà uscire dal paese – da un tribunale speciale per l’antiterrorismo. I media sauditi, megafoni della monarchia, spiegavano ieri che Al Hathloul è stata giudicata colpevole di «varie attività proibite dalla legge antiterrorismo» e perché avrebbe favorito una «agenda straniera». Il ministro degli esteri Faisal ben Farhan Al-Saud ha aggiunto che la donna sarebbe stata in contatto con Stati «ostili» ai quali avrebbe fornito «informazioni riservate». Ma durante le indagini e nel processo non è stata mostrata alcuna prova o testimonianza a sostegno di questi reati. «Loujain ha pianto al termine della lettura della sentenza. Dopo quasi tre anni di detenzione arbitraria, tortura e isolamento, ora la condannano e la etichettano come terrorista. Loujain farà appello contro la sentenza», ha scritto Lina Al Hathloul, sorella dell’attivista. Le accuse sono giudicate assurde da più parti poiché Al Hathloul è solo stata protagonista della battaglia per il diritto alla guida per le donne e ha invocato in qualche tweet il rispetto dei diritti umani.

La sospensione della pena di due anni e dieci mesi sarà applicata solo a condizione che l’attivista non commetta «un nuovo crimine entro tre anni». Avendo già trascorso due anni e mezzo in prigione in custodia cautelare, Al Hathloul dovrebbe tornare a casa tra poche settimane. Da un lato è positivo – la decisione dei giudici con ogni probabilità è frutto delle pressioni internazionali –, dall’altro la sospensione della pena imbavaglia l’attivista che per i prossimi tre anni dovrà restare in silenzio assoluto per non rischiare di finire di nuovo dietro le sbarre. La custodia cautelare è stata molto dura. Al Hathloul ha denunciato, attraverso i rari contatti avuti con la famiglia, di aver subito torture e abusi sessuali durante gli interrogatori seguiti al suo arresto. Ma la procura non ha mai avviato un’indagine su questo sostenendo che i filmati delle telecamere di sorveglianza all’interno del carcere vengono cancellati ogni 40 giorni. Che il fine del procedimento fosse quello di punire a ogni costo Al Hathoul è stato evidente quando il caso è stato trasferito il mese scorso a una delle corti speciali che si occupano di terrorismo e che in realtà prendono di mira gli oppositori della monarchia. A quel punto sono scattate le accuse di aver contattato non meglio precisate organizzazioni di Stati esteri. L’attivista ha anche fatto ad ottobre uno sciopero della fame che è stata costretta ad interrompere per le minacce delle autorità.

Ora si attende di conoscere la sorte di Nassima Al Sadah, Samar Badawi e Nouf Abdelaziz che il 15 maggio del 2018 furono arrestate assieme ad Hathloul per il loro attivismo a sostegno del diritto delle donne di poter guidare l’auto. Diritto che appena qualche settimana dopo sarebbe stato riconosciuto dal potente e brutale principe ereditario Mohammed bin Salman. Secondo alcuni le quattro donne furono incarcerate per far apparire l’erede al trono come un leader forte che prende le sue decisioni da solo e non sotto le pressioni della società civile.