Nella sua lunga carriera di scrittrice, capace di muoversi con originalità e forza tra romanzo, narrativa per ragazzi, poesia, memoir e saggio, Louise Erdrich ha saputo trasformarsi, da esponente di punta della letteratura native american, in voce dominante, tout court, nel quadro della fiction americana contemporanea. Il suo percorso di scrittrice è stato segnato a lungo dalla presenza di Faulkner, ben visibile tanto nell’invenzione di un luogo – una riserva indiana insieme reale e simbolica – in grado di farsi mondo e di accogliere dentro i propri confini un’infinita proliferazione di storie, quanto nelle scelte strutturali: dalla frammentazione della trama, del punto di vista e delle voci narranti fino al rifiuto di qualunque facile coerenza cronologica. Una prospettiva, questa, che nel contesto della narrativa contemporanea, dominata, con le dovute eccezioni, dal ritorno a una trama di stampo più lineare, ha portato a considerare Erdrich una scrittrice «difficile», e per pochi lettori.

Il punto di svolta, premiato per giunta dal National Book Award, è stato rappresentato da quello che rimane probabilmente il capolavoro di Erdrich, La casa tonda: un romanzo nel quale, rimanendo perfettamente all’interno dei temi a lei più care, l’autrice ha rinunciato tanto alla frammentazione cronologica quanto alle continue variazioni del punto di vista, affidandosi per intero a un’unica voce narrante, ponendo al centro della trama un episodio da crime novel e intrecciandolo a una forte sensibilità sociale e a un vero e proprio racconto di formazione.

Il suo precedente capolavoro
Definire il capolavoro di Erdrich un giallo sarebbe però fuorviante: se infatti lo si riducesse alla storia di uno stupro e delle indagini che seguono, o a un semplice romanzo di formazione con trama poliziesca, La casa tonda non sarebbe il romanzo totale che è, e soprattutto non sarebbe un «romanzo mondo», in linea con l’intera produzione di Erdrich, della quale rappresenta a tutt’oggi la sintesi più accessibile e appassionante. Intorno alla trama gialla, ma spesso anche indipendentemente da essa, si affolla infatti una straordinaria galleria di personaggi, tratteggiati con infallibile penetrazione psicologica e con una tavolozza ricca e completa, che sa toccare tutte le corde del sentire, dalla comicità più grossolana e sboccata alla tragedia; e attraverso i personaggi stessi Erdrich mette in scena un mondo sospeso tra tradizione e modernità, tribalismo e cattolicesimo, spiritismo e materialismo. Racconta la resistenza al cambiamento, le strategie messe in atto per difendere uno status quo ormai degradato e destinato alla cancellazione, ma anche le potenzialità del nuovo che incombe, e un non impossibile, pacificato incontro tra culture e visioni dell’esistenza.

Qualcosa di simile, anche se non altrettanto compiuto, Erdrich lo ha tentato – oltre che in La Rose, il romanzo precedente, affascinante variazione sui contesti e i personaggi della Casa tonda – nel suo nuovo libro, La casa futura del Dio vivente, uscito lo scorso anno negli Stati Uniti, pubblicato da Feltrinelli e tradotto, come i precedenti e con la consueta, partecipe cura, da Vincenzo Mantovani (pp. 304, euro 18,00). Anche in questo caso, il racconto è mediato attraverso una lente di genere, ma invece che al giallo Erdrich attinge alla distopia, con un debito evidente verso una serie di modelli che spaziano dalla Doris Lessing di Mara e Dann alla Margaret Atwood del Racconto dell’ancella, oggetto, grazie anche a una fortunata serie televisiva, di una rinascita clamorosa dopo un altrettanto clamoroso e inaccettabile oblio.

Scritto sotto forma di un diario che la protagonista, Cedar Songwriter, scrive per il figlio nascituro, La casa futura del Dio vivente racconta un mondo nel quale la catena evolutiva ha subito una brusca e sostanzialmente immotivata inversione di segno, per cui tutte le specie viventi regrediscono bruscamente verso il proprio stadio originario. Finché i cani tornano lupi, gli uccelli rettili volanti, i gatti tigri dai denti a sciabola, il danno potrebbe essere considerato relativo: il rischio concreto, però, è che la stessa regressione, o «evoluzione inversa», come viene definita nel romanzo, si applichi alla razza umana. Per questa ragione la gravidanza e la maternità diventano armi potenzialmente letali, che devono essere oggetto di un controllo quasi poliziesco. Soprattutto, ogni gravidanza che, dagli accertamenti ecografici, sembri poter dare vita a un essere umano «normale» e non «regredito», acquista un valore incalcolabile, anche economico, scatenando conflitti e guerre intestine.

Se questo è il tema portante del romanzo, Erdrich si disinteressa di illustrarne le cause scatenanti. «Cos’è successo veramente? Tu lo sai?», chiede la protagonista a Phil, l’uomo con il quale ha concepito il figlio che porta in grembo. E Phil le risponde: «La tua spiegazione, che Dio si è stancato di noi, non è meno sensata di tutte quelle che ho sentito». Lo sguardo della scrittrice, come spesso accade nei romanzi di taglio distopico, dà la catastrofe come in qualche modo già compiuta, soffermandosi piuttosto sugli scenari post-apocalittici e sulla ricerca di forme interstiziali di sopravvivenza. Senza peraltro rinunciare a sovrapporre al primo livello della trama altri nuclei portanti, che fanno da trait-d’union con le opere precedenti: primo fra tutti, l’identità duplice della protagonista. Figlia di una donna ojibway ma adottata da un’adorabile e stramba coppia di vegani, Cedar Songwriter decide nelle prime pagine del romanzo di incontrare finalmente la sua vera madre e ricongiungersi con le proprie radici: un percorso che si intreccia con il crescendo di follia e la deriva autoritaria assunta da una società decisa a misurare la propria sopravvivenza non sull’adattamento all’evoluzione inversa, ma su una forma inedita di «controllo delle nascite».

Evidenza del tema religioso
Non meno centrale, anche se stranamente poco evidenziato dalla critica, è il tema religioso: Cedar scopre di chiamarsi Mary, proprio come la madre, la nonna e la sorellastra; quando lo ha conosciuto anche biblicamente, il suo compagno, Phil, si era appena tolto le ali da angelo, indossate per una sacra rappresentazione; il bambino di Cedar nasce il giorno di Natale e ripetuti, in tutto il romanzo, sono i richiami all’Incarnazione.

In una nota all’edizione americana del romanzo Erdrich afferma di averne scritta una prima versione nel 2002, nel cuore della deriva distopica seguita all’11 settembre e alle azioni belliche in Afghanistan e in Iraq, e di aver voluto riprendere la storia di Cedar/Mary in un contesto nel quale la battaglia sulla maternità e sul corpo delle donne è tornata inquietantemente di attualità. Forse ha messo troppa carne al fuoco, e non sempre la forma diaristica si adatta a un modello narrativo – quello distopico – che richiede una superiore lucidità e ampiezza di sguardo; ma la ricchezza dei temi affrontati e la complessità e la forza della voce narrante fanno comunque de La casa futura del Dio vivente un esperimento narrativo pieno di fascino.