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Louis Armstrong, gioia contagiosa del jazz

Louis Armstrong, gioia contagiosa del jazzLa statua di Louis Armstrong al centro del Louis Armstrong Park a New Orleans – foto Wikimedia

Anime urbane Al centro del parco di New Orleans a lui dedicato, si staglia una statua gigante del grande musicista

Pubblicato circa 2 anni faEdizione del 17 luglio 2022

Naturalmente la New Orleans di oggi comprende anche un distretto finanziario coi grattacieli, highway molto trafficate, un Garden District parecchio visitato dagli stranieri per uno sproposito di ville in stile ottocentesco italiano, con colonnati, verande, serre molto curate. Ci si arriva con un tram, non quello reso famoso da Thomas Williams di Saint Louis che prese il nome di Tennessee, divenne orleansiano d’adozione e scrisse uno dei capolavori teatrali del novecento, Un tram chiamato desiderio (poi reso famoso anche al cinema dal film di Elia Kazan con Marlon Brando e Vivien Leigh) vivendo sul tragitto della linea che portava in un nuovo quartiere residenziale, Desire. La pièce esaltava gli aspetti decadenti e un po’ torbidi della città. Già un altro scrittore, William Faulkner, aveva ritratto la gioventù artistoide intellettuale degli anni ’20 di New Orleans in un testo satirico, Zanzare, basato sulla sua esperienza di collaboratore di riviste letterarie e aveva frequentato i bassifondi cittadini che influenzeranno i personaggi «maledetti» di Santuario. Anche loro resteranno fortemente impressionati dalla tradizione carnevalesca del Mardi Gras con le varie crew che decidono il tema e il colore della sfilata, con abiti cerimoniali che si richiamano alle tradizioni africane, con piume, collane e capigliature nello stesso stile.

IN UNA DELLE ZONE più povere di New Orleans, nel 1911 venne alla luce Mahalia Jackson, vivendo in tredici comprese le zie e cugini nella casa del padre John, scaricatore di porto, barbiere e pastore battista. Cominciando a cantare in chiesa da bambina, Mahalia diventerà la voce d’oro del gospel, rifiutando poi i contratti di musica commerciale (che pure aveva imparato ad apprezzare nella sua città natale) e dedicandosi solo alla musica religiosa, con un’estensione vocale importante e grandi doti d’interprete. A Chicago venne in contatto con il pianista Thomas A. Dorsey, tra i primi a fondere la musica religiosa con il blues e il jazz, favorendo la diffusione delle gospel songs.
Per celebrare il suo personaggio, un po’ dimenticato a cinquant’anni dalla sua scomparsa nel 1972, è stato presentato al Paff (Pan African Film & Arrts) di Los Angeles a fine aprile, Remember me, un biopic della regista Denise Dowse con la cantante/attrice Ledisi nel suo ruolo e Columbus Short nella parte di Martin Luther King, il sodalizio che portò avanti la battaglia per i diritti civili negli anni sessanta. Insieme il 28 agosto 1963 anche sul palco del Lincoln Memorial di Washington davanti a 250mila persone dove Mahalia cantò due classici gospel I’ve been buked e I’ve been scorned prima del discorso I have a dream del pastore della nonviolenza. La lotta per la libertà di Mahalia le farà infrangere le barriere razziali e la renderà consapevole del potere della sua voce. A Mahalia è stato intitolato dal consiglio comunale un teatro nel 1993 situato all’interno di un ampio parco verde con laghetti, fontane e sale da teatro, il Louis Armstrong Park, nella zona di Treme, popolata dalla comunità nera, diventata famosa qualche anno per una serie della Hbo, sull’eredità culturale di questo antico porto coloniale, dove pianisti jazz suonano ouverture classiche, fanfare militari intonano arie europee, musicisti di strada strimpellano folk music messicana, esempi diversi per avvicinarsi all’essenza del luogo. Al centro del parco, una statua colossale di questo straordinario musicista, sublime dispensatore di allegria coi suoi assoli e vocalizzi sottili, coi suoi brani conosciuti in tutto il mondo, su tutti What a wonderful world.

LUI, IL BAMBINO nato in estrema indigenza, che aveva cominciato a suonare la cornetta, a 12 anni in riformatorio. «Ehi, certo che mi sono divertito un mondo a crescere a New Orleans, da ragazzino. Eravamo poveri e tutto il resto, ma ci avevi la musica tutt’intorno, la musica ti faceva tirare avanti – ha detto in un’intervista a Life nel 1966 – Quando avevo quattro o cinque anni, vestito ancora da bamboccio, vivevo con mia madre a Jane’s Alley in un posto denominato Brick Row -un sacco di cemento, stanze ammobiliate, un po’ come in un motel. E proprio là nel mezzo, a Perdido Street, c’era la Funky Butt Hall – vecchia, cadente, pareti con fessure larghe così (ndr, Funky Butt, sedere puzzolente in gergo, è un pezzo strafamoso di Buddy Bolden). Al sabato sera, Mama non riusciva mai a trovarci perché volevamo sentire quella musica». Andando dapprima su e giù con gli steamboats sul Mississippi con l’orchestra di Fate Marable, un pianista bandleader che richiedeva insistentemente ai suoi strumentisti di imparare a leggere la musica poi suonando in giro e ottenendo i primi successi personali per il suo modo di suonare e la notevole presenza scenica, tanto da trasferirsi a Chicago con la Creole Jazz Band di King Oliver. E poi decidersi a registrare alcuni dischi formando la sua propria band, gli Hot Five (e poi gli Hot Seven), album entrati nella storia del jazz richiamando la polifonia delle tradizioni di New Orleans al servizio della semplicità e originalità del suo stile entusiasmante, trasmettendo una gioia contagiosa. In quei giorni registrò Heebies Jeebies, un classico del suo canto scat, una sequenza di sillabe senza senso compiuto a imitazione di un assolo strumentale (una pratica imparata nei cortei cittadini, portata a un livello di arte assoluta con la geniale carica ritmica di Louis).

«Ehi, certo che mi sono divertito un mondo a crescere a New Orleans, da ragazzino. Eravamo poveri e tutto il resto, ma ci avevi la musica tutt’intorno, la musica ti faceva tirare avanti», ha detto in un’intervista a Life nel 1966

COL PROGREDIRE dell’età, il suo stile diventa più funambolico, la stessa suprema intensità giocata col tempo, su anticipi e ritardi, sulla capacità di creare una tensione drammatica. Proprio Satchmo sancì la trasformazione da un jazz legato al collettivo, al gruppo, alle sonorità d’ensemble a quello di arte solista dove ogni strumento poteva avere un suo ruolo importante, riempendo tutto lo spazio sonoro. Indicò una via nuova, oltre lo stile New Orleans, in una continua evoluzione verso nuovi orizzonti. «Lo sai che significa lasciare New Orleans/ E rimpiangerla ogni giorno e notte/Lo so che non sbaglio/ Il sentimento diventa più forte/ogni volta che sto lontano a lungo/ Lasciare queste vigne coperte di muschio/ Gli alti pini dolcissimi/Dove i tordi cantavano/ E mi piaceva guardare il pigro Mississippi/E queste canzoni creole che riempivano l’aria…. (Do you know what it means to miss New Orleans, Louis Armstrong)

(4 – fine, le precedenti puntate sono uscite il 14, 21 giugno e il 6 luglio)

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