Tra 114 giorni, il primo ottobre, i catalani saranno chiamati a rispondere alla domanda: Volete che la Catalogna sia uno stato indipendente nella forma di una repubblica? O, almeno, questo sostiene il governo catalano. L’annuncio l’ha dato ieri mattina, con fare solenne, il presidente catalano Carles Puigdemont, circondato da tutti i 72 parlamentari indipendentisti, compresa la presidente del parlamento Carme Forcadell, e da tutti i membri del suo governo.

LA SENSAZIONE DEL DEJA VU è molto forte. A novembre del 2014, i catalani vennero chiamati a votare in quello che doveva essere «un referendum», ma che, a colpi di ricorsi al Tribunale Costituzionale del governo di Mariano Rajoy, era stato derubricato alla fine a un «processo partecipativo». Due milioni di persone (sui circa 7 e mezzo aventi diritto; ma potevano votare anche i sedicenni e gli stranieri residenti) si erano recati alle urne in seggi più o meno ufficiali per rispondere quella volta a due domande: volete che la Catalogna sia uno stato? volete che sia indipendente? L’80% per cento aveva detto Sì – Sì, e il 10% Sì – No.

LA DIFFERENZA rispetto ad allora è che Rajoy è molto più debole, anche se il «nuovo» Psoe di Sánchez ha già ribadito che lo appoggerà contro l’autodeterminazione catalana. La seconda differenza è il partito di Ada Colau, il più grande in Catalogna nelle ultime politiche: da sempre a favore di un referendum, ma contrario a farlo senza un quadro giuridico chiaro e concordato.
Conseguenza dello pseudo-referendum de 2014? Elezioni anticipate in Catalogna nel 2015, anche loro «plebiscitarie», dove gli indipendentisti sono arrivati a poco meno del 50% dei voti, ma a 72 seggi su 135.

Seconda conseguenza, i dirigenti politici di allora trascinati alla sbarra (il presidente Artur Mas e tre suoi ministri sono stati inabilitati a ricoprire cariche pubbliche).

Terza conseguenza: un governo catalano debole, guidato da uno scialbo Puigdemont, formato da partiti eterogenei, uniti solo dalla narrativa indipendentista. Uno dei partiti che esprimono il governo, l’ex Convergència che oggi si chiama Partito Demòcrata, è immerso in processi di corruzione quasi quanto il Pp a Madrid e, nonostante sia stata la destra egemonica catalana, è oggi molto indebolito. Senza l’ombrello di Junts pel Sí (che unisce Partito Demòcrata a Esquerra Republicana) sarebbero destinati alla marginalità. Quarta conseguenza, la più grave.

DATO CHE L’UNICA RISPOSTA del governo di Madrid alla questione catalana è quella giudiziaria, i 62 deputati di Junts pel Sì e i 10 indipendentisti movimentisti della Cup, che danno appoggio esterno a Puigdemont, stanno discutendo in segreto una legge fondamentale per il futuro dei catalani.

Battezzata «legge di disconnessione», è in sostanza quella che garantirà copertura giuridica al referendum, alla successiva dichiarazione di indipendenza, e alla transizione «da una legalità all’altra». Grazie a una modifica del regolamento del Parlament imposta dalla maggioranza dei 72, gli indipendentisti approveranno questa legge in una seduta blitz senza neppure che i 63 deputati dell’opposizione l’abbiano potuta leggere prima.

REGNANO INCERTEZZA e preoccupazione: si è parlato di un sistema giudiziario che sarà asservito all’esecutivo, di dati fiscali rubati al ministero delle finanze (fiscalità e pensioni sono fra i temi più spinosi), di un esercito preparato di nascosto, di partite segrete nel budget catalano per le spese per il referendum, di funzionari (che devono rispondere alla legge spagnola) che saranno costretti ad accettare la futura «legalità catalana», di uno «stato straniero solvente» che si sarebbe detto disposto a prestare soldi al futuro stato catalano.

Tutto questo, unito al fatto che l’annuncio del referendum non è stato formalizzato da nessun documento (per paura che venga impugnato da Madrid) dà un’aria inquietante a tutta la faccenda. Nutrire per anni le aspettative di una buona parte dei catalani senza che poi, come è molto possibile, si arrivi mai a nulla, potrebbe facilmente sfociare nella disaffezione. Per ora l’unico scenario realista è che quando Madrid fermerà il referendum vengano convocate le ennesime elezioni «plebiscitarie» in Catalogna.