Dall’inizio di questo decennio abbiamo dovuto sopportare livelli di pressione senza precedenti. Che si tratti di solitudine, paura, dolore, eccitazione, speranza o gratitudine, abbiamo dovuto adattarci a uno stato di maggiore precarietà, con due realtà concorrenti che si contendono la nostra attenzione.

C’è l’implacabile esaurimento e degrado dei beni comuni globali – le foreste, gli oceani, i fiumi, il suolo e l’aria – che prosegue nonostante sappiamo bene quanto la nostra salute e il nostro benessere vi siano collegati. Stiamo assistendo alla continua rincorsa della crescita economica attraverso l’estrazione sfrenata e l’uso di combustibili fossili, anche se sappiamo che questo sta riscaldando il pianeta e spingendo al limite i sistemi terrestri che ci danno sostentamento.

Il decennio è iniziato in modo infausto, con la mortale pandemia di Covid-19, i lockdown e la chiusura di scuole e luoghi di lavoro, tutte circostanze che ci hanno temporaneamente distratto dalle sfide a lungo termine. Ma a ricordarci che queste sfide sono ancora qui è il fatto che, nonostante ci sia stata una marcata diminuzione delle emissioni di gas serra, il 2020 è stato l’anno più caldo nella storia del pianeta. Anche se molte persone rimangono inconsapevoli della portata e dell’intensità della distruzione in corso, e alcuni scelgono persino di ignorarla, ormai tutti cominciano a vederne le conseguenze.

Estinzioni di specie, tempeste, ondate di calore, siccità, incendi, le sofferenze umane e le perdite economiche che ne conseguono sono sempre più frequenti e si sommano a secoli di disuguaglianza e violazioni dei diritti umani, responsabili di disordini politici e sociali. Si può ragionare a compartimenti stagni, ma è tutto estremamente interconnesso.

NON POSSIAMO COPRIRCI le orecchie o distogliere lo sguardo da tutto questo dolore. O dal fatto che, continuando ad andare avanti come se nulla fosse, potremmo diventare gli artefici dell’estinzione della nostra stessa specie. Non abbiamo ancora unito adeguatamente i punti che collegano la distruzione degli habitat naturali in atto e la nostra capacità futura di assicurare salute e sicurezza a noi e alle nostre figlie e ai nostri figli, di garantirci il nutrimento, la possibilità di abitare le coste e mantenere le case intatte.

È UNA VERITA’ DIFFICILE da digerire ma è necessario farlo. In egual misura, dobbiamo rimanere coraggiosamente convinti di avere il potenziale per agire in maniera contraria, e che già stiamo iniziando a farlo. Una massiccia dose di risposte alla crisi climatica e globale sta cominciando a dispiegarsi nelle comunità, nelle città e persino tra i governi nazionali, stimolata da dati scientifici sempre più allarmanti e da individui di ogni estrazione sociale che chiedono a gran voce quei cambiamenti di cui abbiamo urgentemente bisogno.

COME DIMENTICARE UNA RAGAZZINA di dodici anni che marciava con i suoi amici a Washington DC alle 10 di un venerdì, tenendo in mano un cartello dipinto a mano con la Terra avvolta da fiamme rosse. A Londra manifestanti adulti vestiti di nero, con i caschi della polizia antisommossa, formavano una catena umana che bloccava il traffico a Piccadilly Circus, mentre altri incollavano le proprie mani al marciapiede davanti al quartier generale della British Petroleum. A Seoul le strade pullulavano di bambini delle scuole elementari che indossavano zaini multicolori e portavano striscioni con scritto climate strike. A Bangkok centinaia di giovani studenti e studentesse scendevano in strada. Con risolutezza e tristezza nel cuore, camminavano dietro alla loro leader ribelle, una ragazzina di undici anni che portava un cartello con la scritta: «Gli oceani si innalzano e noi ci ribelliamo con loro».

DALLA LOTTA per l’indipendenza in India al movimento per i diritti civili negli Stati Uniti, la disobbedienza civile è stata spesso usata come strumento di protesta quando un’ingiustizia diventava intollerabile. Il dolore e lo strazio di questo momento, l’inaccettabile ingiustizia generazionale e la deplorevole mancanza di solidarietà con i più vulnerabili hanno già spalancato le porte della protesta. Questa protesta si sta spingendo verso nuovi livelli di azione e consapevolezza. Ciò, combinato con la rapida evoluzione economica che rende più attraenti le soluzioni ecologiche, dà ai governi una precisa indicazione su cui riflettere per attuare i cambiamenti politici e sistemici di cui abbiamo bisogno.

INOLTRE, E’ INNEGABILE L’EFFETTO POSITIVO dello storico Accordo di Parigi, che tutti i governi del mondo hanno adottato all’unanimità nel dicembre 2015 e che la maggior parte ha ratificato in tempo record. L’accordo delinea una strategia unitaria per combattere il cambiamento climatico e oggi ogni grande potenza del mondo sta pianificando la transizione completa del proprio sistema energetico alle fonti rinnovabili. Potenze economiche come la Cina e gli Stati Uniti – il cui neoeletto presidente Biden nel suo primo giorno di mandato ha aderito nuovamente all’Accordo di Parigi e ha messo il clima al primo posto nell’agenda della sua amministrazione – si sono impegnate a raggiungere zero emissioni entro la metà del secolo, così come hanno fatto più di mille grandi imprese. Alcune compagnie e alcuni governi stanno pianificando di arrivarci ben prima del 2050, altri lo hanno già fatto. Le società petrolifere e del gas sono costrette a riconsiderare il loro futuro secondo tempistiche che prima erano inconcepibili, in parte a causa del crollo della domanda legato alla pandemia, ma anche perché le alternative stanno rapidamente diventando meno rischiose e sempre più competitive. Il denaro si sta spostando dagli investimenti ad alto contenuto di carbonio a quelli più sostenibili. Siamo sulla buona strada, anche se solo all’inizio, per trasformare completamente il modo in cui produciamo e consumiamo energia, e ciò sta a sua volta causando profondi cambiamenti nei nostri settori industriali, di trasporto e agricoli.

DATA LA PORTATA DELLA CRISI, molte persone ritengono che queste trasformazioni non siano abbastanza veloci e che la natura incrementale della definizione degli obiettivi sia tristemente inadeguata. Dopotutto, sappiamo della possibilità del cambiamento climatico almeno dagli anni Trenta e ne siamo certi dal 1960, quando il geochimico Charles Keeling ha misurato la Co2 nell’atmosfera terrestre e ne ha rilevato un aumento annuale.

MENTRE LA MAGGIOR PARTE DEI GOVERNI esitava, dietro le quinte gli ambientalisti e gli attivisti stavano lavorando duramente per porre le basi del cambiamento necessario, e oggi finalmente il terreno è abbastanza ricco da permettere un’esplosione esponenziale di attività che può spingere le soluzioni al ritmo di cui abbiamo bisogno. Il cambiamento avviene in genere gradualmente, e poi all’improvviso; e la parte «improvvisa» dell’azione per il clima sta finalmente iniziando a fiorire: è evidente nel dispiegarsi anticipato della più emozionante trasformazione economica che abbiamo mai visto nelle nostre vite.

QUESTE DUE REALTA’ OPPOSTE, con i loro rispettivi futuri potenziali, uno distopico e uno rigenerativo, hanno ora lo stesso slancio, anche se attualmente la maggior parte delle persone pensa che il primo sia più probabile. Se dovessimo visualizzare tali realtà come linee temporali su un grafico, crediamo che questo momento, l’inizio di questo decennio critico, sia finalmente il punto di svolta. Questo è il momento in cui lo slancio crescente per proteggere e ripristinare i nostri beni comuni supera finalmente la realtà caratterizzata dalla loro distruzione. Ed è la pura intensità delle due possibili traiettorie che lo rende eccitante e prezioso, sconcertante ed esaltante allo stesso tempo. Ora la nostra responsabilità è tracciare la traiettoria del futuro che vogliamo, e mai come adesso abbiamo il vento a favore. Abbiamo già ottenuto una serie di successi sociali e politici, possediamo la maggior parte, se non tutte, le tecnologie di cui avremo bisogno e il capitale necessario, e sappiamo quali sono le strategie politiche più efficaci. I cambiamenti che dobbiamo fare sono notevoli, ma siamo in grado di realizzarli.

SE POTESSIMO ANDARE NEL FUTURO e guardare indietro a questo decennio, come gli storici hanno fatto per esempio con il Rinascimento, l’Illuminismo o la Rivoluzione digitale, vedremmo che stiamo vivendo un vero punto di svolta: il punto in cui (costruendo sulle basi della ragione, della scienza, della tecnologia e della filosofia umanistica) abbiamo l’opportunità di abbracciare pienamente la nostra interdipendenza sia con tutta la natura che tra di noi, e cambiare intenzionalmente rotta.

QUESTO E’ IL MOMENTO IN CUI INIZIARE a far diminuire le emissioni di gas serra dell’attività umana, determinando una crescita di nuovi posti di lavoro e un miglioramento della nostra salute: avremo così una maggiore sicurezza energetica e alimentare, aria più pulita, biodiversità fiorente e prosperità umana. Questo è il momento di capire finalmente che amiamo davvero la vita, noi stessi e gli altri. Abbastanza da salvarci.

* Traduzione di Dorotea Theodoli