Ho conosciuto Roberto Gottardi a L’Avana nel febbraio del 2008, ma il suo nome e le Scuole d’Arte mi erano già da tempo familiari. Me ne aveva, infatti, molto parlato mio padre, Alessandro Anselmi, che nel 1963, insieme a Renato Nicolini e altri architetti, provenienti da diverse parti del mondo, avevano partecipato al VII Congresso della U.I.A. (Unione Internazionale degli Architetti), fortemente voluto da Che Guevara.

ALL’EPOCA Roberto, nato a Venezia nel 1927, già si trovava a Cuba, dove era arrivato nel dicembre del 1960. Come lo stesso Roberto amava ricordare, pochi mesi dopo il suo arrivo aveva ricevuto, insieme al cubano Ricardo Porro e all’italiano Vittorio Garatti, l’incarico per partecipare alla costruzione di cinque scuole d’arte (musica, danza moderna, teatro, arti plastiche, balletto), là dove sorgeva l’esclusivo Country Club Park. Nell’ambito del progetto, fortemente voluto da Fidel e da Che Guevara, il giovane architetto veneto ebbe l’incarico per la Scuola di Teatro.
Tutti, soleva ripetere Roberto, eravamo molto ottimisti rispetto al futuro, la rivoluzione si caratterizzava per una grande coralità, e ognuno di noi con le sue diverse competenze sentiva di contribuire al salto qualitativo per una società diversa e migliore. Roberto, tra i suoi maestri metteva Carlo Scarpa, Franco Albini, Giuseppe Samonà e Ernesto N. Rogers, ma, diceva anche che per la sua formazione e per il progetto della Scuola di Teatro erano stati determinanti anche le esperienze «de vida real», vissute a Cuba, che avevano contribuito a fargli porre problemi che oltrepassavano quelli della forma e dello spazio. Oltre ad altri suoi riferimenti, come Frank Lloyd Wright, Luis Kahn e altri, il processo rivoluzionario lo aveva arricchito modificando il suo modo di concepire il progetto architettonico.

LA SCUOLA DI TEATRO, che purtroppo come le scuole progettate da Vittorio Garatti, non è mai stata terminata, è caratterizzata da stretti passaggi scoperti, con i quali Roberto voleva ricordare le strade di una città, e da forti contrasti di luce ed ombra. Questi spazi sono inoltre modulati da scale che danno luogo a sorprese visive.
Nello spazio così articolato si aprono gli ambienti per la recitazione e le lezioni, queste le intenzioni, solo in parte realizzate, ma di cui restano numerosi disegni e un plastico. Alla riscoperta delle cinque scuole, i cui lavori si interruppero nella seconda metà degli anni Sessanta, hanno contribuito nell’ultima decade diverse iniziative, tra cui il libro di J. A. Loomis, Cuba’s forgotten Art schools revolution of forms. Importante, anche perché dedicato al solo Roberto, il catalogo della mostra Roberto Gottardi arquitecto. Sin dogma y con muchas dudas, tenutasi a L’Avana lo scorso ottobre 2016, pubblicato da Manfredi Edizioni. Ho avuto in regalo questo catalogo da Roberto in occasione della mia ultima visita a L’Avana, lo scorso maggio; era fisicamente indebolito ma conservava l’indomito entusiasmo e desiderio di lavorare al suo progetto per la Scuola di Teatro, non certo l’unico da lui elaborato, ma sicuramente il più importante della sua vita, anche perché legato a quella che lui amava definire «l’adolescencia de una década», piena di quella ricca effervescenza, ricerca e creatività che ha caratterizzato la Cuba degli anni Sessanta. Roberto ha lasciato una traccia indelebile in tutto quelli che lo hanno conosciuto: Aldo Garzia, che avendo vissuto a L’Avana come giornalista ha avuto molte occasioni di incontro con lui, lo ricorda come un intellettuale appassionato e sempre ottimista.