Appena venerdì scorso Alexis Tsipras, parlando al convegno annuale dell’Economist, ha ribadito il suo ottimismo che un accordo con i creditori sarà raggiunto entro la fine del mese. Ma questo accordo dovrà essere «vantaggioso per ambedue le parti», ha aggiunto. Se qualcuno «ha in mente di mettere alla prova le capacità di resistenza della Grecia, in attesa che le sue linee rosse si scolorino, si illude». Nessun passo indietro, quindi, nessun ritorno all’austerità della troika.
La costanza del premier greco non è in discussione ma, mentre il tempo trascorre, cominciano a sorgere dubbi sul suo ottimismo. Il governo greco ha rinviato (e in alcuni casi annullato) molte delle misure promesse generosamente nel periodo elettorale, pur di ottenere il consenso degli europei. Per non offrire pretesti, ha dissanguato il paese per pagare le tranche del debito. Malgrado tutto ciò, l’accordo sembra ancora lontano. E prendono di nuovo vitalità i scenari che vogliono i falchi dell’Ue giocare la carta del lento strangolamento della Grecia al fine di ribaltare o annacquare il programma anti- austerità di Syriza.

Anche la minaccia di un referendum è stata accolta dai falchi dell’eurozona con una sostanziale indifferenza. Al contrario dell’autunno 2011, quando l’allora premier George Papandreou lo evocò provocando panico nell’Unione Europea, ora Schauble è convinto di poterlo vincere, facendo leva sul desiderio della stragrande maggioranza della popolazione di rimanere all’interno dell’eurozona.
Il governo greco ritiene che questi disegni destabilizzanti siano minoritari. In una nota informativa del governo che è circolata la settimana scorsa, i creditori sono per la prima volta considerati non come un blocco omogeneo, ma divisi in due schieramenti. Dalla parte dei falchi, insieme con Schauble si vede schierato anche il Fmi, flessibile sul debito ma instransigente sulle misure di austerità. Dall’altra parte, con le colombe, c’è un fronte pronto a un compromesso, anche se lontano dai termini desiderati da Tsipras.

In questo senso Jean-Claude Juncker, preoccupato per la coesione dell’Ue, in accordo con Hollande e con Draghi sta lavorando a un accordo transitorio, sulla base delle convergenze ottenute finora (aumento selettivo dell’Iva, carta di credito obbligatoria per tutti pagamenti sopra i 70 euro, aumento delle imposte ai redditi più alti e abolizione dei pensionamenti anticipati). Questo accordo dovrebbe sbloccare l’ultima tranche di 7,2 miliardi dell’Ue ma Schauble si pone di traverso e rimane inchiodato sulle richieste concordate con il precedente governo. Unica concessione, un nuovo prestito (chiamato eufimisticamente «aiuto») per pagare quelli vecchi. Una soluzione che Varoufakis ha respinto più volte. Per uscire dall’impasse, Tsipras aspetta una mossa coraggiosa.
Fino a quando si potrà aspettare? Il vicepresidente del Consiglio Yannis Dragasakis ha chiesto che ci sia almeno un accordo a livello di esperti prima del Consiglio Europeo di Riga il 21 del mese. In questo modo, nell’incontro di Tsipras con la Merkel ci può essere una sua ratifica, seppure informale, ma di grande significato politico. Varoufakis ha chiesto a Draghi di posticipare i pagamenti e di dilazionarli nel tempo. Mentre il deputato indipendente Notis Marias ha chiesto al presidente della Bce di ricorrere all’articolo del regolamento della Bce che permetterebbe, in via eccezionale, di finanziare i paesi membri perché restituiscano il debito al Fmi. Finora però nessuno ha risposto.

Le scadenze incombenti sono tante e tutte molto gravose, a cominciare dal 5 giugno quando bisogna pagare una tranche di 1,5 miliardi. Sulle stesse cifre si aggirano anche le altre tre scadenze ravvicinate. Di pagare cifre tanto importanti non se ne parla nemmeno. Bisogna però prendere in considerazione seriamente cosa succederà nel caso si sospendano i pagamenti. Su questo il gruppo parlamentare di Syriza è stato la settimana scorsa particolarmente critico. In sostanza si è imputato al governo di aver sottovalutato l’instransigenza dei creditori, facendo concessioni politicamente dolorose ma inutili. La richiesta prevalente era di rimanere fedeli al programma di governo a qualsiasi costo. In sostanza, di arrivare allo scontro, se necessario.
Tsipras sa benissimo che molto probabilmente questo scontro non potrà evitarlo. Per questo insiste nel ribadire che lui un nuovo memorandum non lo firmerà mai. Ma non vuole dare per scontato il fallimento del negoziato e riconoscere così l’impossibilità di mantenere ambedue le sue promesse elettorali: rinnegare l’austerità e rimanere nell’eurozona. E non consola il fatto che al probabile shock greco sarà forse affiancato anche quello britannico, con effetti probabilmente mortali per tutta l’Unione Europea.