A volte un sottotitolo serve a spazzare via ogni dubbio. Se intitoli un disco Mare Nero due sono le possibilità per chi se lo trova in mano: che pensi a Battisti e alla Canzone del sole, o che ti venga invece da pensare agli anarchici, il mare nero che in genere finisce sotto imputazione come fonte e radice di ogni male della (in)civile convivenza nel teatrino mediatico. Allora ecco il sottotitolo: Ritratto di un inferno bello mosso. Gran bella espressione, per indicare che quanto si andrà ad ascoltare lascia spazio all’«ottimismo della volontà», e al «pessimismo della ragione», essendo una bella definizione dell’oggi e delle magnifiche sorti regressive che è dato rilevare. Alessio Lega è un tipo tosto che non fa sconti a nessuno, perché non «vende» altro che canzoni: belle e disturbanti. Spesse, e che non si possono ascoltare in un sottofondo distratto. Inequivocabilmente libertarie.

Fa uscire dischi quando vuole e quando può. Così, quando capita di avere tra le mani un disco nuovo, si può star certi di trovare una pletora di piccole epifanie laiche, di miracoli in b/n, di spezzoni di memoria che proprio non ne vuol sapere di farsi annegare come un gattino appena nato nella mano degli orchi. Di parole urticanti fasciate in bella poesia, e viceversa. In Mare Nero si parla anche d’amore, ed è amore che richiede attenzione e attenzioni, non svenevolezze. Si parla di affidamento dei figli alle coppie omosessuali, della Valsusa che vogliono violentare con una insipiente e inutile voragine mangia soldi e salute, di Gaza, di colonialismo italiano antico e nuovo rimosso (Ambaradan con un video pungente) perché tanto gli italiani sono comunque «brava gente», e guai a ricordarne gli orrori, e di tanto altro ancora.

Ad esempio, in coda ad una bella versione di Hanno ammazzato il Mario di Dario Fo e Fiorenzo Carpi, 1958, un brano delle canzoni della mala milanese, racconta Alessio Lega, «che le canta alla odierna ossessione securitaria» c’è una doppia citazione dalle musiche per il Pinocchio televisivo di Carpi, in pratica «la fantasia che fugge dai gendarmi». Alessio Lega si definisce un «cantastorie del presente, piazza per piazza, centro sociale per centro sociale», con un orecchio sempre teso a captare gli echi dell’«altra storia», quella rimossa.

In Mare Nero ad esempio c’ è un brano dedicato ad uno dei primi eccidi di lavoratori del dopoguerra, Santa Croce di Lecce: «Lecce è la città in cui sono nato e in cui ho vissuto i primi 18 anni della mia vita. Quando me ne sono andato era un luogo ignoto ai grandi flussi turistici, oggi invece – anche per virtù della musica contadina, della Notte della Taranta – è un luogo celeberrimo. Ho voluto rievocare assieme alle bellezze architettoniche, una vicenda poco conosciuta agli stessi leccesi: l’omicidio di tre lavoratori durante una manifestazione del settembre ’45, forse il primo in assoluto». Triste primato salentino che ci insegna come il fascismo fosse finito formalmente ma non cessato nel comportamento della polizia.

Alla fine del disco, sono emozioni forti con Zolletta, il brano scritto tanti anni fa per il giornalista Enzo G. Baldoni: «fu scritta e pubblicata in un introvabile disco live all’indomani della sua morte in Iraq. A suo modo è una canzone d’amore, di tenerezza e un po’ d’ironia. Enzo, col suo coraggio e la sua leggerezza, se la meritava. Oggi invece è il nostro spaesamento, il nostro oblio, il nostro mondo con troppa informazione e pochissima memoria condivisa a meritarsela».