Non passa giorno dall’ormai lontano 2008 che qualcuno non ricordi che gli operai votano Lega. Se ci aggiungiamo il senatore leghista di colore Toni Iwobi il quadro sembra inattaccabile: Salvini ha vinto su tutta la linea.

E invece c’è molto da imparare dalle fabbriche e dai luoghi di lavoro a partire da quella logistica in cui i migranti sono la maggioranza ma gli italiani stanno tornando proprio per le conquiste fatte dai sindacalisti migranti – alla faccia della supposta balcanizzazione etnica dei Cobas.
Perché se è vero che per sentirsi sicuri gli operai dentro la fabbrica votano Fiom e fuori la Lega, è altrettanto vero che oramai sono tantissimi i delegati di fabbrica migranti votati da – e che rappresentano – italiani. Spesso anche leghisti.

Che dunque disobbediscono al capo e ai dettami del pensiero razzista facendosi rappresentare da chi è scappato dalla guerra ed è arrivato in Italia da «clandestino». Ma che spesso viene reputato più adatto a rappresentare gli interessi dei lavoratori perché fa lo stesso lavoro, ha gli stessi problemi ma sovente ha quella rabbia, quella passione, quella dignità che in molti italiani è sopita e assuefatta.

Mentre il senatore Iwobi è sì nigeriano ma in Italia è arrivato nel lontano 1976 con il visto regolare da studente per poi laurearsi qui. E dunque non rappresenta per niente il mondo dei migranti.

Secondo l’ottavo Rapporto annuale «Gli stranieri nel mercato del lavoro in Italia» curato dal ministero guidato ora da Luigi Di Maio, nel 2017 i lavoratori «extracomunitari» sono 1.301.204 a fronte di un totale di 15.288.168, pari all’8,5% del totale, media tra il 10,0% di uomini e il 6,4% di donne che confermano come la questione femminile anche nel mondo del lavoro migrante con tassi di inattività altissimi.

Allo stesso tempo la sindacalizzazione dei migranti è in costante aumento. I migranti iscritti nel 2018 erano il 16% del totale. Se in Friuli siamo al 23% e in Veneto e in Emilia siamo oltre il 22%, in alcune province o zone si arriva quasi al doppio della media nazionale: Piacenza al 29%, a Treviso al 26%, in Valcamonica oltre il 25%, a Brescia al 24%, Modena quasi 24%.

Le storie e le vittorie sindacali di una donna come Khedidja a Reggio Emilia, di Riadh nel Cremonese e poi a Roma, di Mbarek e di Diop nel padovano testimoniano esattamente come le fabbriche e più in generale i luoghi di lavoro siano molto più avanti in fatto di integrazione rispetto alla società e alla politica. Sarebbe ora che qualche commentatore e qualche demagogo – anche a sinistra – le andassero a visitare.