Nelle sue undici edizioni, difficilmente Sbilanciamoci ha sbagliato la location del suo annuale forum. Da quel palazzo lungo un chilometro che, è opinione diffusa tra i romani, avrebbe sbarrato la via alla brezza ponentina che un tempo rendeva sopportabile l’estate romana, il Corviale, quando la questione politica più dirompente era quella delle periferie e della sicurezza, a Lamezia Terme, città capofila del rinascimento calabrese, in nome dell’antimafia sociale e del riutilizzo dei beni confiscati alle cosche.
Quest’anno sarebbe bastato un colpo d’occhio ai luoghi che hanno ospitato il Forum per vedere sviscerata, tutta insieme, la profonda crisi sociale in cui versa l’Italia, come in un bignami della recessione. Le Officine Zero, innanzitutto, quattro ettari di fabbrica recuperata a un passo dalla nuovissima (e spettacolare) stazione Tiburtina. Poi la Fondazione Basso, storica istituzione culturale nella Roma dei palazzi del potere, una delle poche case della sinistra sopravvissute allo tsunami neoliberista che tutto ha travolto. Infine, il vicino Teatro Valle, simbolo della distruzione del patrimonio culturale italiano e allo stesso tempo di una possibile rinascita, in nome della messa in comune dei beni pubblici.
Quasi mai Sbilanciamoci ha messo a fuoco gli obiettivi sbagliati, caratterizzandosi come il più vivace pensatoio antiliberista italiano sui temi dell’economia – italiana e globale, puntando l’accento sulla dimensione europea – e della società. Senza curarsi più di tanto, ormai, del motivo per cui il Forum era nato: opporsi all’annuale meeting di banchieri e imprenditori a Cernobbio.
La tre giorni di quest’anno è stata centrata sulle diseguaglianze e sulle alternative, in Europa, con cinque sessioni di lavoro e sei workshop (dai modelli redistributivi alla riconversione ecologica). Come sempre, il contributo propositivo di un Forum che ha assorbito e rielaborato, nel tempo, la lezione dei social forum, ha prevalso su quello oppositivo: l’idea di fare rete – tra le organizzazioni sociali come sull’informazione – per resistere agli urti della crisi e ricostruire dal basso un pensiero e una pratica politica alternativa; la sistematizzazione di queste esperienze da parte di intellettuali che un tempo sarebbero stati definiti «d’area».
Non sono mancati i momenti forti, come quando le operaie e gli operai della Fma di Pratola Serra e della Irisbus di Avellino, nonché della Fiat di Pomigliano, si sono confrontati con il tentativo di autogestione, aperto a studenti e precari, degli ex lavoratori della Rsi che, soppressi insieme ai treni notte che riparavano, quando hanno visto sconfitta la loro lotta hanno deciso di reinventarsi un lavoro e, con esso, la loro vita. Le Officine Zero, come la Ri-Maflow di Trezzano sul Naviglio, possono essere considerate un esperimento-pilota, difficile e ambizioso, e per questo incontrano simpatie e qualche diffidenza («che facciamo, autogestiamo anche la Fiat?»).
Oggi si conclude con una sessione su «lavoro, welfare e conoscenza», ospiti internazionali e, infine, le proposte di Sbilanciamoci e un documento finale che terrà conto delle idee sviluppate nei diversi incontri. Per orientarsi nella confusa situazione politica attuale, appuntamenti del genere, alimentati da un lavoro sociale e intellettuale ininterrotto – come dimostrano i contributi puntualmente pubblicati sulle pagine del manifesto – rappresentano un’utile bussola.