Le vite dei mapuche contano, ma non per lo Stato cileno. Nulla lo dimostra meglio dello sciopero della fame di 27 prigionieri politici mapuche, tra cui l’autorità spirituale (machi) Celestino Cordova, iniziato più di 80 giorni fa per protestare contro l’assenza di risposte da parte dal governo di Sebastián Piñera.

La richiesta dei detenuti, alcuni ancora in attesa di giudizio, è semplice: la possibilità di scontare le pene detentive nelle loro comunità, come previsto dalla Convenzione 169 dell’Organizzazione internazionale del lavoro, ratificata dal Cile nel 2008, e come sollecitato dall’Alto Commissariato Onu per i diritti umani, che, nel contesto della pandemia da Covid-19, ha invitato gli Stati ad adottare misure urgenti a favore della sicurezza della popolazione carceraria.

UNA RICHIESTA tanto più legittima in quanto il sistema giudiziario cileno, a causa dell’emergenza sanitaria, ha già concesso gli arresti domiciliari a oltre 13mila detenuti – compreso il poliziotto responsabile della morte nel 2018 del giovane weichafe Camilo Catrillanca, un “guerriero” della causa mapuche – negandoli però ai giovani arrestati nel quadro delle proteste contro Piñera e ai prigionieri indigeni, vittime della legge antiterrorismo varata da Pinochet e usata ancora oggi per colpire dirigenti e autorità ancestrali in lotta per la restituzione delle terre usurpate.

Mentre il governo continua a tacere, la situazione dei prigionieri politici delle carceri di Angol e di Temuco, in sciopero della fame dal 4 maggio scorso, e di quelli della prigione di Lebu, che hanno iniziato lo sciopero il 5 luglio (più altri sette che si sono uniti alla protesta domenica scorsa) diventa sempre più critica e tesa. «Di natura politica sono le nostre condanne e la nostra oppressione, di natura politica deve essere la soluzione», dichiarano i detenuti.

Preoccupano in particolare le condizioni del machi Celestino Cordova, già debilitato dal lungo sciopero della fame di due anni fa e trasferito la settimana scorsa in ospedale per gravi problemi respiratori e cardiaci.  ondannato nel 2014, solo sulla base di alcuni indizi, a 18 anni di carcere per il caso dell’incendio alla residenza dell’imprenditore Werner Luchsinger (morto nel rogo nel 2013 insieme alla moglie Vivienne), il leader spirituale, in carcere da quasi sette anni, ha chiesto invano di poter trascorrere il periodo di isolamento per la pandemia nel suo rewe, lo spazio spirituale di fondamentale importanza per la cosmovisione mapuche.

E UN ALLARME ancor più forte aveva provocato la sua decisione di intraprendere anche lo sciopero della sete, sospeso tuttavia dopo l’accordo raggiunto con il sottosegretario di Giustizia Sebastián Valenzuela che, cedendo alle crescenti pressioni nazionali e internazionali, ha accettato, tra l’altro, di vietare qualunque azione punitiva nei confronti dei detenuti che decidano di rifiutare il cibo e di modificare il modulo interculturale nella prigione di Temuco.