Per il primo ministro ungherese Viktor Orbán il fenomeno migratorio ha un carattere pernicioso. Non lo considera nemmeno un diritto fondamentale dell’umanità. Dal 2015 il suo sistema di potere porta avanti una propaganda martellante incentrata sulla questione migranti. Una campagna monotematica e permanente con la quale si è presentato alle elezioni dello scorso aprile vincendole per la terza volta consecutiva e aggiudicandosi la maggioranza parlamentare di due terzi, proprio come otto anni fa.

In tutto questo periodo Orbán e soci non hanno fatto altro che paventare un’invasione musulmana dell’Ungheria e del resto d’Europa grazie alle Ong finanziate dal magnate americano di origine ungherese George Soros. A quest’ultimo il governo di Budapest attribuisce il piano di islamizzare il Vecchio Continente con flussi incontrollati di migranti devoti ad Allah. Il tutto con la complicità di Bruxelles che viene accusata dall’esecutivo magiaro di essere in combutta con Soros anche per trasformare l’Ungheria e gli altri paesi europei in colonie del capitale globalizzato e dei suoi manipolatori. Così si spiegano le leggi che penalizzano le Ong, riconducibili al potente uomo d’affari statunitense o comunque finanziate da fonti straniere, e impegnate sul fronte dell’aiuto ai migranti e in generale di quello dei diritti umani.

In particolare dal 2015 a oggi il premier danubiano e i suoi più stretti collaboratori non hanno fatto altro che alimentare nella società ungherese la sindrome dell’invasione e dell’accerchiamento del paese da parte di poteri esterni intenzionati a sopprimere le sovranità nazionali. «La Patria è sempre in pericolo» è uno degli appelli frequenti di Orbán ai suoi connazionali, «occorre essere sempre vigili per proteggerla». È chiaro che nella retorica dell’attuale esecutivo magiaro i pericoli vengono sempre dall’esterno ed è tipico dei regimi cosiddetti forti e fondamentalmente dirigisti che fanno leva sulle paure della gente e si segnalano come unici sistemi in grado di rispondere al bisogno di sicurezza espresso, a loro avviso, dalle popolazioni.

Questa manipolazione fa passare in secondo piano i problemi esistenti in Ungheria: che dire delle gravi carenze esistenti nei settori della sanità e dell’istruzione o della scarsità di manodopera specializzata che appena può va all’estero a cercare migliori condizioni di vita e di lavoro? Ad addormentare le coscienze provvede un sistema mediatico controllato dal governo la cui propaganda ha particolare effetto nelle zone di provincia percorse periodicamente da grandi manifesti governativi che accusano l’Ue di voler fare il bello e il cattivo tempo in Ungheria e Soros e complici di attentare alla stabilità e all’identità dello Stato danubiano.

«L’Ungheria non accoglie nessuno» aveva detto a luglio István Hollik, portavoce del gruppo parlamentare del partito governativo Fidesz, e ancora, «gli ungheresi l’hanno detto chiaramente alle scorse elezioni». Esternazioni che provengono da un politico che chiama «navi Soros» le imbarcazioni intente a soccorrere i migranti in mare. L’esecutivo ungherese si impegna sempre più a far capire ai migranti che il paese non li vuole ospitare e cerca in ogni modo di rendere loro chiaro il concetto. Così, il Comitato Helsinki Ungherese, una delle Ong nel mirino di Orbán, ha denunciato la sospensione, da parte delle autorità di Budapest, della distribuzione di cibo ai richiedenti asilo. La manovra sarebbe stata concepita in particolare per coloro i quali hanno presentato ricorso dopo che la loro domanda era stata respinta. Anche questa linea fa parte del bagaglio politico che Orbán porta alle elezioni europee dell’anno prossimo, alla ricerca di una nuova e preoccupante affermazione.