Panico nei corridoi della Casa bianca. Così, un articolo del «New York Times» descriveva la reazione dello staff presidenziale quando, la mattina presto di domenica scorsa, Trump ha condiviso via Tweet il video di un suo supporter che urlava «White Power!» a un gruppo di manifestanti pro Black Lives Matter, in una comunità per anziani della Florida. Ci sono volute circa tre ore perché i consiglieri del presidente (e le rimostranze dell’unico afroamericano tra i repubblicani del Senato) convincessero Trump a cancellare il tweet suprematista. Dopodiché la portavoce del presidente, Kayeleigh McEnany, ha farfugliato – molto poco credibilmente – che il sonoro del video era confuso e che probabilmente Trump non aveva sentito bene il grido in questione.
Il fatto che la Casa bianca non si scusi nemmeno della ‘gaffe’ non sorprende, e come non sorprende che McEnany abbia comunque riaffermato che Trump rimane solidale con i suoi sostenitori (i.e. anche se sono dichiaratamente razzisti), visto che – assediato dalla pandemia, dall’economia a rotoli, dai fiumi di dimostranti che scorrono per le città Usa e da circa uno «scandalo» al giorno – Trump è sempre più arroccato nei bastioni dell’estrema destra, incapace di spiegare ai più perché dovrebbe essere rieletto. Come se sperasse di esser tirato fuori dai pasticci da un’abduzione aliena, o – più plausibilmente – da una guerra civile.

LA PROVENIENZA del tweet incriminato di domenica scorsa offre uno squarcio interessante non solo su quelli che lui spera rimarranno i luoghi dei suoi elettori, ma anche un reminder di come oggi l’America funzioni (meglio, disfunzioni) in una serie di effetti bolla. Con il 97% di residenti bianchi, The Villages, situata nella Florida centrale, è una delle più popolose e affluenti comunità per anziani degli States.
Nelle parole di Andrew Blechman, autore di Leisurville: Adventures in a World Withouth Children: «La pantomima dell’immagine fantastica dell’America com’ era e come dovrebbe essere – dominata da bianchi, in cui i neri non esistono o fanno lavori domestici di scarsa autorità e scarsamente retribuiti». The Villages era anche il soggetto di un bel documentario visto quest’anno a Sundance, Some Kind of Heaven, diretto del cortista Lance Oppeneim, e prodotto -tra gli altri – da Darren Aronofski.

IL PENNELLO mezzo gotico mezzo dolce, nel film la comunità è dipinta come un mondo parallelo a cavallo tra una Disneyland per ottuagenari e l’Isola che non c’è di Peter Pan – un luogo completamente privo di bambini e giovani, dove gli anziani che possono permetterselo vanno a ritirarsi (spesso dopo aver venduto tutto) lasciando indietro i rumori e i colori e i grattacapi di famiglie, città, news e pop cultura indigeste. In sostanza, lasciandosi indietro, la realtà e con essa i segni del tempo.
Quindi le rughe e la pelle avvizzita (a The Villages i residenti si corteggiano a vicenda come teen agers) ma anche i progressi/regressi della politica e della cultura. Niente di male se un pensionato preferisce non rimaner incatenato ai nipotini, e sceglie invece un tramonto al caldo sorseggiano Mai Tai. Ma l’ossessione – online e in life – di, tagliar fuori la realtà, raggruppandosi solo con chi ti somiglia e la pensa come te, è una delle, cose che più ha portato questo paese dov’è oggi. In ginocchio.

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