Con la consueta perentorietà fantozziana, Alfano ha battuto i pugni sul tavolo. E se qualcuno si era convinto del contrario, ecco la conferma: il ministro degli Interni del governo Renzi esiste, eccome. Forse perché è fissato, o forse perché il Comune di Milano l’altra sera ha approvato la richiesta di trascrizione dei matrimoni contratti all’estero tra persone dello stesso sesso, ieri il pilastro delle striminzite intese ha preso carta e penna. Col risultato che i prefetti della penisola sono sobbalzati sulla sedia e che i sindaci di mezza Italia sono sul piede di guerra. Ponti a disubbidire.

Ma l’ordine è giunto perentorio: cancellare le trascrizioni di tutti gli sposi gay che hanno celebrato il rito oltre confine. “Dove risultino adottate queste direttive – ha tuonato Alfano – dirò ai prefetti che si dovranno rivolgere ai sindaci rivolgendo loro un invito formale al ritiro di queste disposizioni e alla cancellazione, ove effettuate, delle trascrizioni, avvertendo anche che in caso di inerzia si procederà al successivo annullamento d’ufficio degli atti che sono stati illegittimamente adottati”. Insomma, non proprio uno stringente problema di ordine pubblico.

Il diktat da stato etico delle banane – “circolare stupida e ridicola l’ha bollata il sindaco di Bologna Virginio Merola – se non altro ha avuto il merito di ringalluzzire i pezzetti sparsi del Partito democratico che un po’ si vergognano di governare insieme a un soggetto simile. Anche il presidente Matteo Orfini si permette il lusso di cinguettare una cosa sottoscrivibile e di sinistra (non ce ne voglia la fidanzata di Silvio Berlusconi amica dei gay): “Caro Alfano, invece di annullare le trascrizioni dei matrimoni gay, preoccupiamoci di renderli possibili anche in Italia”. Come una boccata di ossigeno: al Pd non pare vero di riuscire a smarcarsi, ogni tanto, dal vento di destra che sta spazzando l’Italia. E sono reazioni piccate. Roberto Speranza, capogruppo del Pd alla Camera, si permette un’arguzia: “Alfano si occupa con molta insistenza di nozze gay. Come se da questo dipendesse la sicurezza del Paese. E i diritti delle persone invece?” Meno felpata la reazioni di Nichi Vendola: “Lo slogan del ministro Alfano pare essere meno diritti per tutti, è l’alfiere della cancellazione dell’articolo 18 ed è la sentinella che presidia i valori della famiglia tradizionale, si dovrebbe dire ad Alfano di uscire dalle caverne”.

E c’è anche una parte della destra istituzionale che ha già mosso qualche passo nella direzione indicata dal leader di Sel. Mara Carfagna, per esempio, ex ministro della pari opportunità (Fi): “C’è un vuoto normativo da colmare”. Ed è il sottosegretario degli esteri, Benedetto Della Vedova, ad indicare qual è la direzione da prendere dopo la presa di posizione di Alfano: “Dagli effetti paradossali di tale provvedimento emerge in modo evidente la necessità e l’urgenza di un pieno riconoscimento giuridico delle coppie dello stesso sesso”. Insomma, fatta salva la solidarietà dei suoi pochi amici crociati del Ncd, di Maurizio Sacconi e dei nazisti dell’Illinois, Alfano è rimasto solo. Entrando nel merito delle conseguenze del bel gesto, Valeria Fedeli (Pd), vicepresidente del Senato, con due battute impartisce una lezione di politica: “Entrare a gamba tesa sulle decisioni dei singoli sindaci o, peggio ancora, mobilitare tutti i prefetti italiani per fare i cani da guardia dei primi cittadini non può essere l’attività promossa da un ministro della Repubblica”.

Soprattutto alcuni sindaci non l’hanno presa molto bene.Più o meno di mezza Italia (Milano, Roma, Udine, Empoli, Grosseto, Napoli che ha presentato ricorso). Primo fra tutti il sindaco di Bologna, Virginio Merola. Lui non ubbidisce, anzi si ribella. “E’ una circolare stupida e tragicomica – attacca Merola – noi siamo da tempo sia cittadini italiani sia cittadini europei, non posso accettare che lo stato nazionalizzi in senso discriminatorio e anti europeo i diritti civili”. Merola chiede l’intervento del Parlamento e rilancia: “Noi siamo Bologna, io sono il sindaco di una città che vuole restare aperta e accogliente e in prima fila nel sostenere i diritti civili. A noi non basta essere una città per bene, ma vogliamo restare una città umana”. Il vice sindaco della capitale, Luigi Nieri, invece reagisce promettendo di “battersi con ancora più decisione per introdurre al più presto questa misura di civiltà anche a Roma”. Il primo cittadino di Udine, Furio Honsell, impartisce ad Alfano una lezione di politica: “Una questione come questa non va risolta con circolari burocratiche ma deve essere portata al Parlamento o davanti alla Corte costituzionale”.

Prevedibili le reazioni delle associazioni. Per Flavio Romani, presidente di Arcigay, è arrivato il momento della resistenza: “Siamo in mano a degli irresponsabili. La gravità politica del gesto di Alfano è senza precedenti e definisce un apartheid che l’Italia non si merita e che offende la sua carta costituzionale. Il premier promette unioni tra persone dello stesso sesso, ma agisce per offendere le persone gay e lesbiche che hanno scelto di formare una famiglia”. Romani, oltre a chiedere ai sindaci di disobbedire, si spinge fino a suggerire al Parlamento di sfiduciare questo governo.

Forse esagera il presidente di Arcigay, però chi governa disinvoltamente con un tipo come Alfano dovrebbe almeno spiegare qual è limite che non è disposto a superare per conservare un minino di dignità.